L'intervista. Rampini suona la sveglia all’Occidente: “C’è un orgoglio da ritrovare. Putin rispetta solo la potenza altrui”

Rampini, secondo lei va riscritta una storia dell’Occidente? «No, il ruolo dell’Occidente come laboratorio di progresso è stato studiato benissimo, finché…

Aldo Torchiaro 25.9. 2024 alle 07:15 ilriformista.it lett6’

Abbiamo incontrato Federico Rampini, firma di punta del giornalismo e brillante analista delle dinamiche geopolitiche, mentre esce il suo “Grazie, Occidente!”, per la collana Strade Blu di Mondadori.

Rampini, secondo lei va riscritta una storia dell’Occidente?

«No, il ruolo dell’Occidente come laboratorio di progresso è stato studiato benissimo, finché da noi si studiava la storia in modo serio. Nel mio libro attingo a grandi storici, i più autorevoli, e offro un concentrato delle loro lezioni. In particolare, la ricognizione del formidabile progresso scientifico, tecnologico, economico, civile e culturale che si è concentrato in Occidente negli ultimi tre secoli, e da qui ha irradiato benefici all’umanità intera. La nostra medicina, la nostra agricoltura hanno salvato dallo sterminio per malattia e per fame tutti gli altri. L’accumulo di scoperte e invenzioni nate in così poco tempo in Occidente dà le vertigini, è così vasto che per elencarle e calcolarne i benefici mi sono fatto aiutare perfino dall’intelligenza artificiale. Il problema è che questa magnifica epopea del progresso non viene più insegnata. La scuola e l’università, i media e il mondo dello spettacolo, le élite che fanno opinione, cancellano il progresso occidentale, lo disprezzano e lo rovesciano nel suo contrario: ne fanno un grande romanzo criminale, in cui l’Occidente è l’unica civiltà veramente malvagia e oppressiva. Le nuove generazioni in particolare vengono indottrinate con questa falsificazione della storia».

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Quali sono le ferite culturali che ci stiamo infliggendo? E da dove nascono, dalla cultura Woke?

«Le ferite culturali che ci infliggiamo sono gravi. Ne elenco solo qualcuna. Alleviamo dei giovani depressi, pessimisti, apocalittici, esposti ad ogni sorta di patologie psichiche perché privati di ogni autostima, convinti di appartenere a una razza infame. Perfino la denatalità ha questa componente psicologica. La demonizzazione dello sviluppo economico – visto come causa di tutti i mali, dal cambiamento climatico alle diseguaglianze – educa docili reclute dello statalismo. Poi rendiamo impossibile l’integrazione degli immigrati: dicendogli che la nostra civiltà è molto peggiore di quelle da cui provengono gli stranieri. Su queste basi una società multietnica si distrugge. Il termine woke, che significa “risvegliato”, è rivelatore perché richiama le due grandi rivoluzioni puritane nell’America dell’Ottocento, definite appunto “Grandi Risvegli”. La dimensione religiosa è essenziale per capire l’autoflagellazione delle élite bianche, che vogliono espiare le proprie colpe (presunte). La woke culture è un’etichetta recente per un fenomeno ben più antico. L’università di Stanford, nel cuore della Silicon Valley, abolì il corso di storia della civiltà occidentale nel 1962, sei anni prima del nostro Sessantotto».

Noi italiani dovremmo ricordarci meglio quale è stato il ruolo dell’Italia nella storia del progresso?

«L’Italia è la culla di due antefatti fondamentali: umanesimo e Rinascimento preparano il terreno per Illuminismo, positivismo, rivoluzione scientifica e industriale. Senza Galileo non ci sarebbero stati Henry Ford, Bill Gates e Steve Jobs. Ringraziare l’Occidente, è anche ringraziare l’Italia che di questa storia meravigliosa è parte integrante. Poi sul nostro territorio geografico si situa un antefatto ancora più antico, quella Repubblica romana che anticipa l’idea di uno Stato di diritto, poi ripresa dalle rivoluzioni americana e francese alla fine del Settecento. Oggi sia la Cina che l’Iran si autodefiniscono Repubbliche, ma è un concetto del tutto estraneo alle loro civiltà, inesistente in Confucio e nel Corano».

Le autocrazie copiano le democrazie, nei prodotti, negli stili. Non nelle regole. Noi e loro come possiamo confrontarci?

«Le autocrazie ci copiano perché senza i benefici dell’Occidente le loro popolazioni non sopravviverebbero. Mao Zedong provò a ripudiare la scienza occidentale, chiuse le università, mandò una generazione a lavorare i campi per costruire “l’Uomo Nuovo”. Il risultato furono carestia e guerra civile. La Cina di oggi è una nazione prospera e moderna perché ha adottato tutto il progresso occidentale. Le autocrazie soffrono di un complesso d’inferiorità anche nei confronti dei nostri sistemi politici e dei nostri modelli valoriali, tant’è che la Cina non ripudia la democrazia bensì sostiene di averne inventato una versione migliore; non disconosce la Dichiarazione universale dei diritti umani, anzi dice di esserne la paladina più autentica. Però è dalla Cina, dalla Russia, dai paesi islamici, che si continua a emigrare verso l’America, non viceversa. Un grande intellettuale di origine libanese, Amin Maalouf, profondo conoscitore di una civiltà antioccidentale come quella araba e islamica, sostiene che tutti quelli che hanno cercato di soppiantare l’Occidente hanno generato catastrofi. Succederà anche stavolta».

L’Occidente in pericolo: aggredito il 7 ottobre in Israele. Aggredito in Ucraina da Putin. E sempre pronto alla resa, alla massima concessione al nemico… Perché noi italiani siamo diventati arrendevoli, più che diplomatici, cedevoli?

«L’Italia ha sempre avuto tre grandi correnti politico-culturali ostili all’Occidente e in modo particolare antiamericane: fascismo, cattolicesimo, comunismo. Nulla di nuovo sotto il sole. L’ignoranza storica però è grave: non ci si rende conto che solo perché siamo sotto l’ombrello protettivo americano è stato possibile contestare sistematicamente l’America; un privilegio che altri imperi (russo-sovietico, cinese) non hanno mai concesso né concedono tuttora ai propri sudditi».

Le elezioni americane incideranno anche sull’Europa “indecisa a tutto”?

«Le elezioni americane possono accelerare un disimpegno degli Stati Uniti dalla sicurezza europea se vince Donald Trump, possono rallentarlo se vince Kamala Harris. Ma l’isolazionismo è un vento che soffia sia a destra sia a sinistra, negli Stati Uniti. Inoltre, è destino che l’America debba dedicare le sue risorse scarse alla sfida cinese, prioritaria. Quindi un’Amministrazione democratica a Washington nei prossimi quattro anni sarebbe solo una cura palliativa, dando agli europei l’illusione di poter ancora rinviare la presa di responsabilità».

Serve un nuovo patto occidentale, oltre a un nuovo Patto Atlantico? Una rinnovata alleanza tra i paesi che hanno guidato il mondo fino a pochi anni fa?

«Credo che un nuovo patto occidentale emergerà nei fatti, via via che l’ostilità degli altri comincerà a infliggerci dei danni sempre più visibili. Qualcosa sta già accadendo. Nel campo energetico l’aggressione di Putin all’Ucraina ha obbligato gli europei ad una maggiore integrazione con Stati Uniti Canada e Australia, geopoliticamente affini. La Cina sta esportando la sua crisi economica, avendo dei consumi interni depressi cerca di smaltire sui nostri mercati una immensa eccedenza di produzione industriale, con una pressione feroce sui nostri mercati. Anche i tedeschi, gli ultimi ad aver prosperato sulla Globalizzazione Felix, saranno obbligati un po’ alla volta a convertirsi alle barriere protettive contro l’invasione cinese. La comunità atlantica si fonda su uno zoccolo duro di interessi materiali: basta studiarsi la composizione della nostra bilancia dei pagamenti, più lo stock di capitali esteri, per capire che l’Italia è legata a Europa e Nordamerica, mentre tutte le altre aree del mondo hanno un peso marginale sul nostro interscambio e i nostri flussi di investimenti. Chi aveva ululato che le sanzioni contro Putin ci avrebbero impoverito, inventava un mondo che non esiste: la Russia è un nano economico, con il Pil della Spagna. Perfino la nostra regione più orientale, il Friuli-Venezia Giulia, esporta molto più in Nordamerica che a Est. L’alleanza tra noi occidentali è quanto di più naturale, se vi si aggiunge l’affinità nei valori. In quanto a guidare il mondo, se l’Occidente smetterà di denigrarsi da solo, scopriremo quanti filoccidentali ci sono anche nel Grande Sud globale: molti africani per esempio sanno benissimo che le continue polemiche contro il neocolonialismo bianco sono un alibi con cui le loro classi dirigenti corrotte e rapaci dirottano l’attenzione dalle loro colpe».

La Russia si fermerà, la Cina si conterrà se inizieremo a investire un po’ di più per la difesa comune?

«Putin capisce solo i rapporti di forza e rispetta solo la potenza altrui. Investire nella nostra sicurezza, costruire un robusto apparato di deterrenza, è l’unico modo per fermare l’espansionismo imperiale delle potenze dispotiche. In quanto alla Cina, va colpita nei suoi interessi materiali. Finora le abbiamo perdonato tutto: furto di know how, concorrenza sleale, sfrenato protezionismo (quello cinese cominciò decenni prima dei dazi di Trump). Bisogna applicare la reciprocità in modo spietato. Le multinazionali cinesi che vogliono investire in Occidente dovrebbero essere soggette alla stessa imposizione che ha colpito molte aziende americane ed europee: l’obbligo di scegliersi un socio locale e di rivelargli i propri segreti industriali. È così che i cinesi hanno carpito tecnologie alla nostra industria automobilistica».

L’orgoglio occidentale, per tornare in conclusione al suo libro, come si rilancia?

«Il mio libro è una cura ricostituente per la nostra autostima e in modo particolare quella dei nostri giovani. Investire nella conoscenza di sé, nell’orgoglio per quel che fecero i nostri antenati, è un primo passo per fermare l’autodistruzione e scongiurare la nostra decadenza. A restituirci orgoglio a volte basta ascoltare i nostri ammiratori dall’esterno. Le femministe iraniane sognano le conquiste delle donne occidentali. In ogni zona del pianeta dove ci sono diritti calpestati, libertà negate, il modello rimane l’Occidente».

Aldo Torchiaro

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