I gemelli del populismo. Il lento declino di Conte e Salvini, gli incapaci dell’antipolitica

La funzione di Cinquestelle e Lega nel sistema politico italiano è ormai finita, la carica energica dei due leader si è esaurita: adesso sono avvicinati da un destino comune, ma nessuno dei due sorride

18.9.2024 Mario Lavia, linkiesta.it lettura3’

Sono stati i gemelli del populismo che hanno segnato la politica italiana per anni e che ora, per un bizzarro incrocio della storia, declinano insieme. Giuseppe Conte e Matteo Salvini, i gemelli dell’antipolitica, il giallo e il verde, ciascuno con le sue movenze – dinoccolate il primo, manesche il secondo, uno con la pochette l’altro a torso nudo – cominciano a scendere quelle scale che avevano scalato fino alla cima, entrambi ben oltre il trenta per cento, ricordate?

Ma oggi il miscuglio gialloverde che impastò il governo Conte 1, quello dei famigerati decreti sicurezza salviniani che adesso l’ex presidente del Consiglio finge di non ricordare, tende a vaporizzarsi come i residui di una pozzanghera quando il sole scalda. Non sono finiti, i gemelli del populismo. Sono ammaccati però. L’ex premier viene tutti i giorni svillaneggiato da chi lo portò alla ribalta, Beppe Grillo quando sul palcoscenico c’era lui e lui solo, quell’altro non lo conosceva nessuno tranne che a Volturara Appula.

Negli anni l’avvocato autodefinitosi “del popolo” – un’anteprima di Javier Milei – piano piano si è mangiato il Movimento, diventato nel frattempo un tradizionalissimo partito di stipendi e cadreghe, ha cancellato ogni traccia di grillismo e casaleggismo, ha restaurato le ragioni del Potere svincolato dalla morale e dalla coerenza. Il risultato non poteva essere che quello che stiamo vedendo: le torte in faccia.

Quanti voti perderà Conte a causa della probabilissima nascita di un secondo movimento grillino? Impossibile saperlo con precisione ma un po’ di roba sì, Grillo, o chi in suo nome, gliela toglierà. E lui, che pare impantanato nelle sabbie mobili del dieci per cento, dovrà dar via ancora qualcosa, nella speranza di non essere superato dalla coppia furba Fratoianni&Bonelli che probabilmente al momento giusto troveranno un’altra Ilaria Salis per rimpinguare il bottino.

Contemporaneamente, la Lega va incontro ad un mare in tempesta. È vero che di Matteo Salvini non si parlava quasi più e che la richiesta di condanna a sei anni per non aver consentito lo sbarco di poveri cristi lo ha riportato sulla scena. Ma se lo condannano veramente che farà? Il pazzo, come tanti prevedono? È vero che l’uomo non è mai guarito dalla sindrome del Papeete, che il suo video con sfondo alla Tintoretto in cui rivendica di aver difeso i confini della Patria è inquietante, che è capace di dire muoia Sansone con tutti i filistei: ma poi? Non ha piani B, Salvini, il ministro dei Trasporti che si avvia a battere Danilo Toninelli in quanto a incapacità, può giusto sperare di tenere botta e soprattutto tenere il partito pur con una condanna sulle spalle: e anche se tutti i suoi continueranno a togliersi il cappello al suo passaggio, alle spalle trameranno contro il condannato.

Quel diavolo di Roberto Vannacci sta sulla riva del fiume, e a pensarci bene la simmetria Grillo-Vannacci è quasi peggio dell’originale. Se invece verrà assolto, una croce in meno da portare sul Calvario della politica che comunque Calvario resta, alla guida del terzo partito della coalizione su tre, con i soliti problemi tra Meloni e le lotte interne, nel totale smarrimento delle ragioni dell’esistenza della Lega.

Perché la domanda che ci si porrà è questa: a che servono Lega e Cinquestelle? Non è ormai esaurita la loro funzione di contestazione del sistema politico che in qualche modo si è rimesso in piedi sotto la diarchia al femminile Meloni-Schlein? Ecco perché per le due leader la crisi di Conte e Salvini è una buona notizia: possono mangiarseli, quei due che correvano e ora arrancano, affratellati da un comune destino.

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