Vittoria di Pirro. Von der Leyen è stata generosa con Meloni, non con l’Italia
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La presidente è riuscita a farsi votare dai verdi per fermare la destra e a usare la destra per emarginare i verdi (e i socialisti),
18.9.2024 Francesco Cundari, linkiesta.it lettura3’
*scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”.Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
Alla fine della fiera, varata la nuova Commissione europea di Ursula von der Leyen, gli osservatori si dividono tra chi dice che la vicepresidenza esecutiva assegnata a Raffaele Fitto non compensa l’alleggerimento delle deleghe (rispetto a quelle precedentemente ottenute da Paolo Gentiloni) e chi dice che l’alleggerimento delle deleghe non può far sottovalutare il peso della vicepresidenza esecutiva. Di conseguenza, sulla posizione di Giorgia Meloni, tagliando per brevità i pareri più scontati di seguaci e avversari, i giudizi variano dal discreto successo alla «vittoria di Pirro». Non male, dal suo punto di vista, considerato come si erano messe le cose dopo il mancato trionfo sovranista alle elezioni europee.
Se l’azzardo con cui Meloni aveva deciso di schierare Fratelli d’Italia contro la riconferma di von der Leyen era sembrato a molti un errore (e io penso ancora che lo sia stato), di sicuro è un errore che non è stato punito. Quindi, si direbbe negli scacchi, una mossa fortissima. Anche se in questo caso a dare scacco matto, a socialisti, verdi e liberali, ma anche a Emmanuel Macron (soprattutto) e Olaf Scholz, parlandone da vivo (politicamente, s’intende), è stata senza dubbio Von der Leyen. La presidente è riuscita infatti a ottenere prima il voto dei verdi contro l’apertura a destra, per poi aprire a destra (col gioco degli incarichi dati ai paesi anziché ai partiti) emarginando i verdi, e rendendo di fatto ininfluenti gli stessi socialisti, ormai presi in ostaggio dentro una commissione dominata dai popolari in tutte le caselle fondamentali, e chiaramente spostata a destra dal rilancio del dialogo con il gruppo meloniano dei Conservatori e riformisti europei.
Sul fatto che la vittoria di Meloni, parziale o totale che la si voglia giudicare, sia anche una vittoria dell’Italia e dell’interesse nazionale, come molti sostengono, ho invece qualche dubbio. E non solo perché il motivo principale per cui von der Leyen ha deciso di usare Meloni per provare a dividere il fronte sovranista, con l’appoggio di un vasto fronte politico e di opinione (dall’Economist a Die Zeit), è l’esatto contrario dell’interesse nazionale (nostro). E cioè, dal punto di vista tedesco, con la Cdu alle prese con l’ascesa dei pericolosi estremisti di destra dell’Afd, il buon vecchio meglio a voi che a noi. Ma anche perché il discorso sull’interesse nazionale, che adesso ci sentiremo ripetere fino allo sfinimento, anche per facilitare il percorso di Fitto, sarebbe comprensibile se i partiti italiani – di destra e di sinistra – avessero mai seguito una simile logica nelle istituzioni europee, come fanno effettivamente gli altri paesi, che si guardano bene dal trattarle come un cimitero degli elefanti (o una pensione di lusso), dalle nomine nelle commissioni, agli incarichi politici e tecnici a tutti i livelli (motivo per cui si guardano bene, gli altri, dal candidare leader politici intenzionati a dimettersi un minuto dopo o altre figure di varia estrazione unite solo dall’assoluta estraneità alle dinamiche della politica europea).
Ma questo è appunto un problema molto più antico, e del tutto trasversale. Per oggi restano due fatti incontrovertibili: il primo è che von der Leyen ha deciso di confermare nonostante tutto una significativa apertura nei confronti di Meloni, che dubito garantisca chissà quali vantaggi all’Italia, ma di sicuro non promette niente di buono per l’Europa (la linea della rincorsa a destra, sul fronte sovranista, temo finirà per fare semplicemente il gioco dei sovranisti). Il secondo è che Meloni, in tutta questa vicenda, ha comunque confermato la sua ferma intenzione di non uscire affatto dal recinto politico-identitario del suo piccolo gruppo, come conferma anche la recente virata verso posizioni orbaniane persino sull’Ucraina, il principale se non unico argomento dei sostenitori dell’evoluzione euro-atlantista e modernizzatrice della presidente del Consiglio.
*Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.