L'editoriale. Dalle giravolte di Renzi al decreto carceri, non annegare nel politicismo

. I famigerati programmi – dei partiti, delle coalizioni, dei leader – sono buoni per incartarci il pesce, si sarebbe detto una volta

Claudio Velardi — 9 Agosto 2024

Chi mastica pane e politica non può nascondere un sorrisino quando sente parlare di contenuti e della loro centralità. I famigerati programmi – dei partiti, delle coalizioni, dei leader – sono buoni per incartarci il pesce, si sarebbe detto una volta. Prima di un voto danno da fare a volenterosi burocrati di partito o a ingenui intellettuali di complemento che elaborano corposi documenti sbandierati in pensosi convegni, per andare poi a languire negli spazi che ne prevedono per legge la pubblicazione o nei rituali riquadri dei giornali che li mettono a confronto nelle campagne elettorali.

Ritrovano vitalità successivamente – solo per qualche attimo – quando paragrafetti e commi cavillosi diventano merce di scambio per concretissime spartizioni. Infine muoiono tristemente, e definitivamente, quando la realtà incombe. Non c’è caso al mondo di un politico che, conquistato il potere, abbia tirato fuori dai cassetti il suo programma elettorale, dicendo “ecco, ora lo attuo”. Ed è giusto così, intendiamoci, perché il mondo non si conforma ai pezzi di carta. Anche per questo risultano sempre inutili e fuori fuoco le polemiche di commentatori e politici che ex-post alzano il ditino reclamando coerenze (sempre per gli altri, mai per sé).

Detto questo, est modus in rebus. Un conto è prendere atto della realtà che cambia inesorabile, definire sacrosanti compromessi con alleati e compagni di viaggio, valutare con realismo l’evoluzione dell’opinione pubblica e i comportamenti delle forze sociali. Un altro conto è buttare al vento ogni contenuto e farsi trascinare dalle cose. Senza tangibili, differenti opzioni, la politica diventa puro posizionamento tattico nel migliore dei casi, più spesso camaleontismo e trasformismo, e perde ogni significato la sempre invocata alterità tra destra e sinistra, mantra teorico dei nostri politologi alle vongole.

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Per questo – non per improvvisa antipatia nei confronti di un politico che avrebbe ancora carte da giocarsi – non abbiamo apprezzato le ultime giravolte di Matteo Renzi, che sembra sacrificare ogni suo contenuto caratterizzante sull’altare di un accordo purchessia con la sinistra. Così come ci angoscia lo scontro cinico sul decreto carceri, tutto giocato – dal governo come dall’opposizione – sulla pelle dei detenuti. E non ci rassegniamo all’idea che un partito come Forza Italia – che sta pian piano, e meritoriamente, lucidando i suoi quarti di nobiltà liberali – possa voltare la faccia all’applicazione di una direttiva europea, quella sui balneari, che esalta basilari principi di concorrenza.

Questi sono solo esempi recenti di una politica che cede le armi al cinismo, più che al realismo. Ma così non fa che allontanare da sé un’opinione pubblica già sufficientemente disorientata. Sono i motivi per cui, a costo di apparire degli ingenui e degli sprovveduti sognatori, noi riformisti continuiamo ostinatamente a tenere alta la bandiera dei contenuti, perché la politica non anneghi definitivamente in un politicismo senza principi.

Claudio Velardi

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