Generosità franceschiniana Il Pd ha più voti del M5s, ma ha deciso di donarli tutti a Conte
- Dettagli
- Categoria: Italia
Dopo il successo di Todde in Sardegna, l’alleanza elettorale permanente tra dem e grillini sembra ineludibile: non è più una questione di se, ma di come accordarsi su idee, contenuti, programmi. Insomma, tutto
28.2.2024 Mario Lavia, linkista.it lettura2’
Dunque da ieri la linea del Pd, più o meno di tutto il Pd, non è se fare l’alleanza con il Movimento 5 stelle ma come farla. Certo, ci sono delle sfumature. Per i nostalgici alla Nicola Zingaretti del Conte punto di riferimento fortissimo dei progressisti il come è quasi un dettaglio, mentre all’opposto per i riformisti è decisivo. In ogni caso, «mai con Conte» non lo dice più nessuno o quasi. Dice un riformista come Alessandro Alfieri: «In Sardegna abbiamo assestato un colpo al governo e soprattutto alla Meloni, per fare ulteriori valutazioni sulla salute dell’opposizione servirà aspettare l’Abruzzo… Ma certo questa vittoria dà una spinta positiva»: come a dire, la strada è tracciata.
La linea schleiniana del «testardamente unitari» va, per ora, è il campetto largo della sinistra, poi si vedrà. Ormai di centrosinistra c’è poco, persino Fratoianni&Bonelli si dicono determinanti, ed è vero. Si muove Carlo Calenda ma è presto per capire in che direzione. Da parte sua il Partito democratico, come ha fatto in Sardegna, è pronto a sacrificarsi e a dare il suo sangue in nome dell’alleanza con Conte. Magari non sempre, ecco. E qui già s’intravede una trattativa permanente sui nomi dei candidati alle Regioni o dei sindaci, qui c’è il dem là un contiano lì ancora mettiamo un civico e via spartendo: fa molto Prima Repubblica. È la logica aritmetica che tanto piace agli «elefanti», come i socialisti francesi un tempo chiamavano i vecchi del partito, di cui Dario Franceschini è il nume tutelare, il maestro indiscusso, l’inarrivabile giocatore delle tre carte (ne ha parlato qui Francesco Cundari).
E l’aritmetica dice indubbiamente che un Pd che non vola e resta sul venti per cento ha bisogno vitale dei voti dell’avvocato, sennò non si comincia neanche a giocare. Poi però c’è la politica, cioè i contenuti, i programmi, le idee, il profilo dei candidati alle cariche istituzionali (Alessandra Todde ha funzionato perché non sembra affatto una grillina: ma quante sono le Todde nel M5S?): e sulle idee non ci siamo molto. Si ritorna dunque a bomba. Come si fa un’intesa sulla politica estera? O sull’energia? O sulla politica industriale? Tutta roba che in Sardegna non c’era ma che alle politiche sarà il cuore di ogni linea.
C’è però un problema diciamo così preliminare che nel voto di domenica si è risolto, anche se non una volta per tutte: il Pd è chiaramente più forte dei contiani e questo, se venisse confermato alle europee, chiuderebbe la famosa questione del chi dà le carte. Il Pd dunque regge, si badi, non grazie a chissà quale evoluzione culturale o organizzativa ma per l’esatto contrario, cioè per una resilienza dal sapore antico. Il nuovo Pd non esiste, è sempre il vecchio caro partito con dirigenti sperimentatissimi da decenni, le compagne e i compagni che fanno la loro tradizionale campagna strada per strada, i candidati che ancora conservano un rapporto con pezzi di società. Il Pd non si sta salvando con l’armocromia né con l’ideologia woke o le istanze queer ma con la politica normale – se si vuole: tradizionale – che anche Elly Schlein dopo un anno di apprendistato al Nazareno sta dimostrando di saper maneggiare. E non è detto che sia un male.