"LA MELONI È PIÙ FURBA CHE INTELLIGENTE. MA LA FURBIZIA IN POLITICA DURA MOLTO POCO" –

L'EX MINISTRO SOCIALISTA RINO FORMICA TUMULA LA DUCETTA (“CHE NON HA LA FORZA DI DIRSI LA CONTINUATRICE DI ALMIRANTE”)

18.2.2024 dagospia.com lettura6’

IN UNA INTERVISTA CON ALDO CAZZULLO: “LA MELONI È FORTUNATA MA DEBOLISSIMA” – “LE CLASSI DIRIGENTI HANNO PERSO LA RAGIONE, SONO OBNUBILATE DALLE SIRENE POPULISTE E ANTIEUROPEE: SE ALLE PROSSIME ELEZIONI LE FORZE EUROPEISTE ITALIANE NON BATTERANNO UN COLPO IL PAESE ANDRÀ INCONTRO AL DISASTRO" - LE RANDELLATE SU SALVINI, CONTE E SCHLEIN - LE INTERCETTAZIONI DEI SERVIZI SEGRETI AL POOL DI MANI PULITE E BORRELLI CHE VOLEVA FARE IL CAPO DELLO STATO

Estratto dell’articolo di Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”

Rino Formica, lei sta per compiere 97 anni. Come sta?

«Bene, anche se sono diventato cieco. Sa, sono sempre stato molto miope…».

Però è lucidissimo. L’ultimo grande vecchio della politica italiana. Un superstite. Qual è il segreto?

«Vita regolare, niente stravizi, evitare le abbuffate…».

[…] Lei è l’uomo delle massime. La politica è davvero sangue e merda?

«Se vuole traduco. La politica è passione e contaminazione. La buona politica è far prevalere la passione sulla contaminazione, o se preferisce il sangue sulla merda».

Quando comincia per lei la politica?

«I cinque anni tra il 1943 e il 1948 furono formidabili. Tutto accadde allora: la caduta del Duce, la guerra civile, la liberazione, la Repubblica, la scelta atlantica».

[…] Che ricordo ha di Moro?

«Aveva forti convinzioni; infatti poteva permettersi di essere flessibile. Ci ritrovammo a Palo del Colle per un comizio. Moro parlò da un palco con la bandiera monarchica. Gli chiesi: “Scusi, ma don Mincuzzi mi aveva detto che lei era repubblicano”. E lui: “Io sì; ma a Palo del Colle i cattolici sono tutti monarchici”».

Moro da adulto fece il centrosinistra con voi socialisti.

«Mi disse: prima lo faremo al Nord, poi al Sud. L’ultima città d’Italia ad avere una giunta di centrosinistra sarà Bari».

[…] Nenni com’era?

«Da giovane era stato un ribelle. Un rivoluzionario che voleva rovesciare lo Stato».

Era amico di Mussolini.

«Sì, del Mussolini socialista; ma guai a parlargliene. Quando nel 1971 fu eletto Leone, noi cercavamo di portare al Quirinale Nenni. I capigruppo del Msi alla Camera e al Senato erano miei concittadini e amici: con De Marzio e Di Crollalanza eravamo insieme al consiglio comunale di Bari. Il primo mi disse che si era già impegnato con la Dc.

Ma Di Crollalanza rispose: io sto con Nenni, perché il Duce prima di morire ci disse di far riferimento ai socialisti. Anche Niccolai, fascista di sinistra, me lo confermò. Lo riferii a Craxi, che era vicesegretario».

E lui?

«Mi disse: ti prego, non dirlo a Nenni. Soprattutto, non nominargli il Duce, che lo manda in bestia».

Craxi com’era?

«Io ho passato una vita con Craxi. Non è che posso così, in due parole…».

Craxi era onesto?

«Personalmente, sì. Con tutti i dirigenti politici di tutti i partiti aveva in comune una convinzione: la lotta politica ha bisogno dell’arma del denaro; e il denaro si prende dove c’è. Ma la sua storia di esule è una storia di povertà. Mentre si è poi scoperto che molti moralisti erano sul mercato. E pure a buon mercato».

Era stato lei però a dire del Psi: il convento è povero, ma i frati sono ricchi.

«L’errore fu decentrare la ricerca delle risorse. Tanti si sentirono liberi di procacciarsene per sé e per i propri cari».

Anche «nani e ballerine» è sua.

«Non volevo essere offensivo, ma dire che quel modo di allargare l’assemblea socialista alla società civile non rispondeva a ragioni politiche, bensì a ragioni pubblicitarie. Nani e ballerine accettarono in modo svagato. Infatti quando scoppiò Mani Pulite tutti i cooptati latitarono. Alcuni negarono proprio. Compreso Dematté, che divenne presidente della Rai».

Lei disse che Craxi aveva in mano «un poker d’assi». A cosa si riferiva?

«Alle informazioni che i servizi e la polizia avevano fornito ad Amato, che era presidente del Consiglio».

Quali informazioni? E come le avevano raccolte?

«Erano segnalazioni sul traffico telefonico dei componenti del pool».

I servizi spiavano i magistrati di Mani Pulite?

«I servizi hanno come compito controllare tutto quello che avviene attorno al potere. Anche Mussolini era intercettato, i servizi ascoltavano le sue conversazioni con la Petacci. Certo, il confine tra la tutela delle istituzioni e l’intrigo è sottile. Dipende dall’uso che se ne fa».

E cosa avevano scoperto i servizi?

«Che un po’ tutti i magistrati del pool non erano stinchi di santo. Non solo Di Pietro. Ognuno aveva il suo corrispondente esterno: politico, religioso, internazionale. E ognuno aveva la sua ambizione: chi voleva fare il presidente del Consiglio, chi il presidente della Repubblica…».

Chi voleva fare il presidente della Repubblica?

«Ovviamente, il capo del pool».

Borrelli? Non credo proprio.

«Quando un magistrato appare in tv e dà ordini al Parlamento, già agisce come un aspirante capo di Stato». […]

Di Berlinguer che ricordo ha?

«Aveva una visione religiosa della lotta politica, come atto di fede assoluta. E coltivava un’ostilità inestinguibile per il Psi, che per lui rappresentava suo padre».

Suo padre?

«Il padre di Berlinguer era socialista. E lui considerava la scelta paterna lenta, non decisiva, incapace di risolvere i problemi. Non era il solo. Pensi a quanti leader democristiani hanno avuto i figli comunisti — Moro, Taviani, Cossiga —se non terroristi, come Donat-Cattin».

E Almirante chi era?

«Un fascista che aveva capito di poter gestire la sconfitta, facendosi assorbire a poco a poco dal potere ufficiale».

Ora i suoi eredi sono al potere?

«Almirante ha trovato un erede viziato da viltà nei suoi confronti. La Meloni è arrivata al governo attraverso una mascheratura, e non ha la forza di dirsi la continuatrice di Almirante».

Come trova la Meloni?

«Fortunata, vista la collezione di errori dei suoi contendenti, in particolare quelli della sua area. E furba. Più furba che intelligente. Ma la furbizia in politica dura poco. Molto poco».

Dicono che la Meloni sia fortissima.

«Invece è debolissima. Perché incontrare un politico più intelligente o più colto di te è difficile; ma incontrarne uno più furbo è molto facile».

E Salvini?

«Una volta si parlava, con espressione un po’ razzista, di profondo Sud. Non vorrei apparire razzista; ma Salvini mi sembra un uomo del profondo Nord-Est».

Schlein o Conte?

«Conte è il populismo che si fa governo e appare più accettabile; ma sempre populismo è. Schlein è il radicalismo che si fa moderazione; ma non è piegandosi alla moderazione che la sinistra andrà al potere».

Perché?

«Perché gradualismo non significa rinuncia. Un leader deve capire quello che oggi la società non gli consente di fare; ma non deve diventare quello che vuole la società».

Di Berlusconi cosa pensa?

«L’ho visto solo due o tre volte, prima che scendesse in politica. È stato bravo ad allestire la zattera dei profughi della Prima Repubblica; ma ha portato al governo un macchiettismo che non poteva non degenerare. Berlusconi era un populista da salotto. Che ha allevato i populisti di strada».

Come vede il futuro dell’Italia?

«Legato alla politica estera. Sono convinto che stia per nascere un nuovo ordine mondiale. La grande crisi della globalizzazione ha provocato le guerre. Se vogliono evitare la terza guerra mondiale, le grandi potenze ora devono imporre una tregua generale di sei mesi, e sedersi a un tavolo per trasformarla in una pace duratura. Una nuova Yalta».

La Cina vuole la pace?

«La Cina deve sollevare un miliardo di persone dall’indigenza. Minaccia la guerra a Taiwan; ma la guerra non è nel suo interesse. Il problema è che al tavolo delle grandi potenze rischia di non sedere l’Europa. E la colpa è anche nostra, di noi italiani».

Perché?

«Perché le nostre classi dirigenti hanno perso la ragione, sono obnubilate dalle sirene populiste e antieuropee. Se alle prossime elezioni le forze europeiste italiane non batteranno un colpo, il Paese andrà incontro al disastro. L’unica speranza restano le classi dirigenti tedesche, francesi, spagnole, che hanno ben chiaro quanto l’unità europea sia necessaria per evitare ai singoli Paesi di soccombere e sparire. Per questo dico che la Meloni è debolissima».

Perché?

«Perché non ha il sostegno della prospettiva. Non propria; altrui. Non interpreta la vita futura delle generazioni che non si sono ancora espresse. I giovani mostrano un misto di disprezzo e distacco. Spero ancora che escano dai social e vadano a votare, che partecipino alla vita politica. Come facevano quei ferrovieri di Bari amici di mio padre». […]

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