I legionari di Putin. La seducente geopolitica filorussa che rischia di far breccia tra i militari europei Alcuni sedicenti esperti geopolitici,
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interpretano le questioni internazionali attraverso un prisma strettamente geografico e deterministico che nasconde un certo antiamericanismo.
2.2.2024 Matteo Pugliese, linkiesta.it lettura6’
Questa visione è sempre più seguita nelle accademie militari in Italia, in Francia e in Spagna
A gennaio 2024, durante un corso all’Istituto Alti Studi per la Difesa (Iasd) per ufficiali italiani e di paesi alleati, un colonnello ucraino si è alzato e ha contestato Lucio Caracciolo, accusandolo di fare propaganda filorussa.
Il fondatore di Limes aveva mostrato ai militari una cartina che rappresenta i territori occupati come parte della Russia e aveva citato i rapporti tesi tra il presidente Zelensky e il capo di Stato maggiore Zalužnyj come segno della debolezza ucraina.
Forse l’episodio ha risvegliato dal torpore chi nelle Forze Armate italiane non si era interrogato su cosa è giusto fare in questa guerra ed evidenzia un equivoco di fondo su chi siano gli esperti da consultare. Caracciolo, ad esempio, nove giorni prima dell’invasione spiegava “Perché Putin non attaccherà l’Ucraina (checché ne dicano gli Usa)”. Nel corso degli anni Limes si è guadagnata un vasto pubblico, ma è sempre rimasta estranea al mondo accademico, che guarda con scetticismo alle mappe poco scientifiche e a termini fantasiosi come “Caoslandia”. Un altro volto noto della geopolitica è Dario Fabbri, che ha lasciato Limes per fondare il proprio mensile ed è quotidianamente in Tv a commentare ogni argomento, dalla Cina all’Ucraina, passando per l’Africa e le elezioni statunitensi, ritenuto un esperto benché non abbia neppure una laurea o esperienza all’estero.
Ma l’equivoco più grande riguarda il concetto stesso di geopolitica, un termine ormai inflazionato e ritenuto un sinonimo più accattivante di affari internazionali. Tuttavia, geopolitica ha un significato preciso in accademia, dove è vista da alcuni con implicazioni problematiche, da altri alla stregua del Risiko. Il termine fu coniato dal geografo svedese Kjellen e poi ripreso dai tedeschi Ratzel e Haushofer, i quali plasmarono il concetto di Lebensraum, lo spazio vitale reclamato dal Terzo Reich. Su queste basi il politologo Carl Schmitt contribuì a consolidare nella Germania nazista un realismo ispirato a Hobbes, in base al quale chi può prendersi qualcosa è legittimato a farlo, senza badare a fronzoli morali. Per questo nel dopoguerra la teoria geopolitica è stata accantonata in quanto giustificazione delle aggressioni hitleriane.
La geopolitica ha un altro grande limite, cioè interpretare le dinamiche globali con la sola lente della geografia, fisica e umana. La conseguenza è un determinismo geografico estremo, per cui il destino delle nazioni è già scritto dalla loro collocazione, risorse e composizione etnica. In base a questo assunto semplicistico, se in un territorio si parla russo allora i suoi abitanti sono russofili ed etnicamente russi. Come se i valloni fossero francesi o gli anglofoni dell’Irlanda inglesi. Tesi smentita dai milioni di ucraini russofoni a Kharkiv e Odessa che combattono l’occupante moscovita. L’impostazione geopolitica ignora completamente fattori ideologici, politici, economici (infatti Fabbri critica spesso l’economicismo), sociali e culturali che regolano le Relazioni Internazionali, questa sì materia di studio universitaria. Inoltre, ragiona ancora per “sfere di influenza” e strizza l’occhio alla forma più spinta della scuola realista, per la quale contano solo dominio e potenza, mentre il diritto internazionale e la morale sono inutili orpelli che vengono schiacciati dall’interesse nazionale. È il nuovo ordine mondiale che ha in mente Putin.
La geopolitica riecheggia anche nei corsi per ufficiali di Stato maggiore della Marina Militare, che a Venezia studiano le teorie sul potere marittimo e la talassocrazia dell’ammiraglio Alfred Mahan. Alla luce di tutto ciò non stupisce che la Difesa italiana la consideri una valida chiave di lettura. Nel 2022 i vertici dell’Arma dei Carabinieri hanno ascoltato il politologo Edward Luttwak, che da realista concepisce gli affari internazionali in termini di spietato pragmatismo ed egemonia. Benché sia atlantista, infatti, sostiene che se per ottenere la pace in Ucraina occorre cedere territori allora è bene farlo, senza riparazioni di guerra o processi per i crimini russi.
Questo è il genere di suggestioni a cui sono esposti più spesso gli ufficiali italiani. Forse docenti universitari o veri esperti di think tank prestigiosi, come l’Istituto Affari Internazionali (Iai) e lo European Council on Foreign Relations (Ecfr), sono ascoltati con meno entusiasmo perché descrivono una realtà più complessa e impegnativa di quella offerta dalla geopolitica. Naturalmente ci sono anche molti ufficiali che hanno ben chiaro lo scenario, ma le narrazioni favorevoli alla Russia continuano.
I generali e colonnelli di oggi hanno studiato in accademia trent’anni fa, quando l’Armata Rossa era descritta come potentissima. Quella percezione è rimasta tale per l’esercito russo, infatti molti davano l’Ucraina per spacciata in poche ore. Se avessero letto “La Russia di Putin” o “Un piccolo angolo di inferno” di Anna Politkovskaja, forse, avrebbero capito il degrado che regna nei suoi ranghi.
Se la geopolitica porta in buona fede le scuole militari a concepire il mondo in un’ottica distorta, ci sono altre insidie meno innocenti. È un fenomeno che può essere esteso a Francia, Germania e Spagna. Le simpatie conservatrici nelle forze armate e persino di estrema destra in alcuni reparti sono ben note, come per la Legione spagnola o la Brigata Folgore. Questi orientamenti si sono radicati anche nelle accademie grazie a tre filoni: gli ammiratori del regime putiniano, una cordata religiosa reazionaria, gli antiamericani e sovranisti.
La scuola militare di Saint-Cyr, dove si forma l’élite degli ufficiali francesi, è un esempio di tali influenze. Vi insegnava il geopolitico Thomas Flichy de La Neuville, il quale il giorno dopo l’aggressione di Mosca raccontava in Tv che l’Ucraina è uno stato fantoccio usato dall’Occidente per indebolire la Russia e che si tratta di una “lotta tra imperi” sulla pelle degli ucraini, la stessa narrazione di Caracciolo.
Dopo un’inchiesta dell’intelligence militare sui suoi legami “con alcune potenze straniere”, Flichy è stato allontanato dalla cattedra. Anche l’africanista Bernard Lugan, nonostante la sua pessima reputazione nella comunità accademica e le sue idee di estrema destra, riscuoteva simpatie nei circoli militari tenendo corsi a Saint-Cyr e all’equivalente francese dello Iasd. Cofondatore del centro identitario Iliade per “preservare la continuità etnica della popolazione europea” (la teoria della Grande Sostituzione che traspare anche dal libro del generale Vannacci), la Difesa francese ha sospeso i suoi corsi dal 2015.
Tra i diplomati di Saint-Cyr ci sono ufficiali in congedo apertamente putiniani come Xavier Moreau, ora cittadino russo che si è prestato alla farsa di osservatore nei referendum illegali per l’annessione dei territori ucraini, e il colonnello Alain Corvez, opinionista di Russia Today. Anche l’ex parà della Folgore Eliseo Bertolasi, fino al 2018 collaboratore del sito Analisi Difesa e poi del canale di propaganda Sputnik, ha fatto l’osservatore elettorale per i russi.
Bruno Judde de Larivière, docente a Saint-Cyr fino al 2021, sostiene che nella scuola militare abbia prosperato per anni «una setta di ultradestra, identitaria e pro-russa», grazie al lassismo dei generali. Per un decennio fino al 2018, il dipartimento studi e ricerca dell’accademia è stato diretto da Éric Ghérardi, poi passato all’Istituto cattolico della Vandea.
Secondo le testimonianze raccolte, a Saint-Cyr si è passata il testimone una cordata di ufficiali integralisti e aristocratici. Tra di loro c’era il tenente colonnello Marc. L., fervente cattolico di origini nobiliari russe, sotto processo per spionaggio a favore di Mosca mentre prestava servizio alla base Nato di Napoli. Anche in Italia c’è qualche ufficiale di Marina aristocratico che si definisce orgogliosamente “sedevacantista”, ritenendo illegittimo il pontificato di Papa Francesco.
Questa corrente guarda alle gerarchie cattoliche più ostili a Bergoglio, come i cardinali Burke e Brandmüller. Ma anche l’arcivescovo di Kinshasa Ambongo ha dichiarato che l’Occidente è decadente e ha messo in guardia dal «promuovere le devianze» con la benedizione degli omosessuali concessa dal Papa. Ambongo ha poi aggiunto: «Vogliono imporci le loro pratiche che il presidente Putin definisce costumi decadenti dell’Occidente. Oggi il sistema delle Nazioni Unite è quello di far passare l’ideologia Lgbtq». Parole in assoluta sintonia con il patriarca ortodosso Cirillo, promotore della guerra santa in Ucraina, secondo cui l’Occidente esige da chi vuole entrare nel suo club il tributo del gay pride e la Russia è punita per opporvisi.
È perciò inevitabile che in Europa certi ufficiali apprezzino il modello di Putin e Cirillo, che criminalizza il mondo Lgbt ed esalta il machismo che si oppone alla «deriva decadente». Un modello che piace a chi nelle forze armate ritiene i gay “anormali” e Mussolini uno statista, come il generale Vannacci, o in Spagna è nostalgico di Franco. D’altra parte, è proprio l’ex addetto militare all’ambasciata di Mosca a decantare nel suo libro la vita in Russia: laggiù sì che se non rispetti la cultura «vieni rispedito al mittente senza troppi complimenti». Il generale ricorda con nostalgia le passeggiate nei «bellissimi parchi cittadini dove incontravo dopo l’imbrunire donne sole e mamme con bambini senza il minimo timore di essere molestate».
Qui si innesta il terzo filone, quello antiamericano e sovranista, che vorrebbe l’Italia fuori dall’Alleanza Atlantica e si appella alla geopolitica per la quale siamo marionette degli Stati Uniti, vittime di una guerra che non ci riguarda. Ad esempio il generale Mini, ex comandante Nato in Kosovo e collaboratore di Limes, che sul Fatto Quotidiano denuncia con veemenza “l’odio anti-russo” e le colpe occidentali.
Nelle forze armate spagnole l’antiamericanismo è incarnato da ufficiali repubblicani di estrema sinistra, mentre in Italia sembra trasversale e unisce l’antipatia per gli Stati Uniti, uno spirito autarchico e la ricerca del quieto vivere. Si parla, ben inteso, sempre di minoranze, che però intaccano l’integrità delle accademie e le future generazioni di ufficiali che vi si formano. Per arginarlo, si può cominciare dal consultare più spesso chi nelle università studia le relazioni internazionali con un approccio più rigoroso e olistico.