Omicidio Cecchettin, parla Crepet: “Serve parlare con i genitori, altro che psicologo e oretta di educazione ai sentimenti”
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Paolo Crepet: se a 13 anni già fanno l’amore e per voi va tutto bene, c’è qualcosa che non va. Poi i rivoluzionari da salotto parlano di cambiamento, vogliamo fare una cosa rivoluzionaria?
22.11.2023 Francesca Sabella
Togliamo tutta questa tecnologia dalle scuole e ancora spegnete Netflix e vi accorgerete che non sappiamo cosa dirci, come gli ergastolani che non sanno più cos’è la libertà
Giulia Cecchettin non sarà l’ultima donna a morire per mano di un uomo e leggeremo ancora di femminicidi, ma anche di omicidi, di violenza. Con lo psichiatra Paolo Crepet proviamo a tratteggiare i contorni di una società che si sgretola, liquida nel senso peggiore del termine.
Professore, quand’è che i nostri giovani sono piombati in questo abisso di violenza? C’è stato un momento preciso o invece è sempre stato così solo che prima non lo sapevamo, o almeno, non così tanto quanto oggi che abbiamo a disposizioni strumenti che in un click ci aggiornano su tutto? «La nostra società è sempre stata violenta, siamo violenti da quando siamo qua, su questa terra. Se siamo più violenti di prima, non so dirlo. So che la generazione di mio padre ha fatto la guerra, so che c’è stato il fascismo e che i conti con il fascismo li abbiamo fatti in maniera violenta, poi c’è stato il terrorismo, e c’è stata pure l’eroina, anche lei era violenta. Posso dire che a un certo punto abbiamo iniziato a usare modi violenti più soft, cartoni animati terrificanti, playstation con giochi terrificanti, per non parlare dei cantanti trap, terrificanti pure loro».
Quindi, questa violenza efferata tra i giovani non la stupisce poi molto? «Mi stupisco sempre di tutto, non do mai niente per scontato e soprattutto non chiedo silenzio come fa Marco Travaglio per poi trovarsi in un’altra trasmissione televisiva. Io parlo e sono molto arrabbiato».
Cosa la fa arrabbiare? «Mi arrabbio per quello che viene detto in queste ore, l’educazione ai sentimenti, per esempio, mi sembra una presa di fondelli, c’è addirittura un accordo tra i leader dell’opposizione. Siamo al massimo dell’idiozia. Io voglio capire se qualcuno può ragionare o su questi temi come la violenza, il femminicidio o se parliamo per slogan, per fare la fiaccolata, per dire c’è una rivoluzione e poi tra una settimana nessuno dirà più niente. Voglio sapere qual è la rivoluzione in atto. Voglio parlarne tra una settimana quando la sorella di Giulia, Elena, verrà lasciata completamente sola».
Professore, la sensazione è che i ragazzi non abbiano idea di cosa voglia dire sentirsi dire di No, come se non avessero il concetto del limite. Lei cosa pensa? «Penso che se si fa l’amore a tredici anni e questo è politicamente corretto per milioni di italiani, di genitori italiani, qualcosa non va. Se a tredici anni fai l’amore, vuol dire che hai il week end libero, che vai in discoteca e qualche madre e qualche padre ritengono che vada bene così. Lo dico da 30 anni che non va bene, gli mettono pure in tasca i cento euro per la serata, soldi che spenderanno in alcol e droga, perché di questo si parla. Le racconto un episodio. Quest’estate una ragazza di 13 anni è stata sparata, sparata, dall’ex fidanzato di 14 per questioni ovviamente di gelosia e non abbiamo fatto fiaccolate, non se ne sono accorte le filosofe che oggi parlano e scrivono. Perché? Perché di quella ragazza no? Non diceva già molto delle nostre relazioni inquinate e tossiche?»
E perché per lei nessuno ha alzato la voce? «Solo perché il fatto è avvenuto in una squallida periferia e allora non ne parliamo, quando invece c’è un fatto che scuote la borghesia italica, quando viene colpita lei allora ci indigniamo, si tratta di indignazione a comando, c’è un interruttore che dice quando bisogna indignarsi e quando no».
Tornando ai giovani, genitori che concedono troppo, che non sanno dire no, che non hanno tempo per i figli. Se parliamo di responsabilità genitoriale, qual è la sua opinione? «Semplice, mettiamo lo sportello dello psicologo nella scuola così vai lì a parlare dei tuoi disagi, cosa mi rompi le palle? Questo è, questo pensano i genitori. Però se è il governo a dire mettiamo lo psicologo nelle scuole, allora va bene. Parliamo di uno sportello nel quale nessuno sa chi andrà, nessuno mi sa dire dentro quel luogo che è di una delicatezza straordinaria chi ci mettiamo, ma farlo ci lava la coscienza: la mafia usava le gelaterie come lavatrici, noi ci laviamo la coscienza con lo psicologo nella scuola e facciamo l’oretta di educazione sentimentale. Quando ho chiesto: e chi mandiamo a insegnare l’educazione sentimentale? Mi è stato detto: sono dettagli. Facciamo una cosa, mandaci te tua figlia che ha un amore molesto davanti a una psicologa appena laureata. Poi ne riparliamo».
Genitori che non sanno e non vogliono ascoltare i figli. «Sì, viene fuori un mondo che capisci perché c’è tutto questo oggi nella società. Non c’è nessuna voglia di ascoltare i figli, non ci interessa, è tutto un delegare, la famiglia delega alla scuola, la scuola delega non si sa a chi, il ministero pensa di risolvere non si sa come, sabato faranno una conferenza stampa, ma vi prego, quale conferenza stampa vogliamo fare. Oggi una famosa filosofa ha detto: c’è una rivoluzione. Ma di che rivoluzione si parla, non capisco».
Quale sarebbe invece la vera rivoluzione? «Se vogliamo veramente cambiare le cose, come dicono i rivoluzionari da salotto, cominciamo dai bambini non a diciotto anni quando ormai è troppo tardi. Finanziamo le scuole dell’infanzia, iniziamo a togliere tutta questa tecnologia dalle scuole per i piccoli, le mie parole sono rivoluzionarie perché io dico una cosa che nessuno vuol fare, che nessuno vuole sentire, perché quando si toccano degli interessi nessuno vuole sentire. La Svezia ha detto di sì a questa proposta di diminuire la tecnologia nelle scuole, il ministero italico invece ha detto che ci deve pensare. Siamo in presenza di dilettanti dello sbadiglio, lo dico in generale. E poi c’è un’ipocrisia dilagante».
Dove ce né di più? «C’è ipocrisia in luoghi che uno non si aspetterebbe. Quando c’è il solito maschietto mascalzone che poi è un cretino impotente che fa la battuta sul lato b o fa un commento, io vorrei parlare con tutti quelli che pensano di essere diversi da quello. Vorrei capire in cosa si sentono diversi se stanno lì e ascoltano. Mi dicono di essere banale, lo so. Una signora molto importante diceva che l’eclissi della complicità è la strada per l’oblio, se lo ricordassero».
Cosa pensa dell’approccio dei media alla violenza, ai casi di femminicidio? «È l’approccio del falò di cui parlava Cesare Pavese, le parole sono dei falò, urlate ancora di più perché ci sono oggi e non ci sono domani, noi invece abbiamo bisogno di ragionamenti, di cambiamenti coraggiosi non di parole urlate che durano il tempo di un falò».
Cosa direbbe ai genitori? «Spegnete la tv e fate un sacrificio estremo, evitate Netflix per una settimana, una dieta a puntate invece che a punti, spegniamo ogni settimana un dispositivo. Poi chiederei ai genitori: di cosa avete parlato ieri sera? Non si parla più, non con chi avete chattato, di cosa avete parlato ieri sera. Genitori e figli che al massimo si chiedono con un messaggino per dirsi cosa hanno mangiato. Il problema è che non sappiamo più cosa dirci come gli ergastolani non sanno più cos’è la libertà, non reggiamo un discorso di un’ora con un adolescente in crisi. Non sappiamo più parlarci».
Francesca Sabella