Egomania culturale. Tranquilli, non c’è nessuna nuova narrazione egemonica: è solo fame

Dal piccolo La Russa al Piccolo fino all’interminabile disfida tra Sgarbi e Sangiuliano, nel nuovo potere c'è molto di antico, con una dose aggiuntiva di ridicolo

9.11-2023 Francesco Cundari, linkiesta.it lettura3’

Il primo anno di governo meloniano è stato segnato dalla grande lotta per l’egemonia sulla cultura, l’immaginario, la narrazione. O almeno così è stato raccontato da giornali e tv, in positivo e in negativo: come svolta epocale, portatrice di un salutare rinnovamento (secondo i sostenitori) o al contrario come dimostrazione di un’insaziabile volontà di potenza, con conseguente allarme democratico (secondo gli avversari). Ma non era nessuna delle due cose.

Potremmo dilettarci a lungo declamando l’improbabile elenco di tutti gli intellettuali organici chiamati in questi mesi a riscrivere l’autobiografia della nazione, e certamente passeremmo ore assai liete nel rievocare gli innumerevoli episodi di cui si sono resi protagonisti, peraltro con scarsi riconoscimenti di critica e di pubblico, ma per dimostrare una tesi la via più breve è sempre preferibile. E da questo punto di vista mi pare che la nomina di Geronimo La Russa, figlio maggiore dell’attuale presidente del Senato, come rappresentante del ministero della Cultura nel cda del Piccolo teatro di Milano dica già tutto circa l’ampiezza del disegno politico, il respiro del progetto culturale, l’ampiezza delle ambizioni coltivate dal nuovo potere. O c’è qualcuno davvero convinto che il giovane Geronimo possa essere l’alfiere di una spregiudicata sfida egemonica, il sottile tessitore di quella nuova narrazione di cui tanto si discute?

Mi pare piuttosto evidente che moventi e obiettivi di simili nomine siano assai più elementari. Talmente terra terra che già mi sarebbe passata la fantasia di occuparmene, se non fosse per il mio innato spirito di contraddizione, oltre che per il modo surreale in cui anche questa vicenda è andata a intrecciarsi alla tragicomica disfida tra il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, e il suo sottosegretario ribelle, Vittorio Sgarbi.

Per chi si fosse perso le puntate precedenti, qualche settimana fa un’inchiesta del Fatto quotidiano aveva rivelato che il sottosegretario Sgarbi, soltanto negli ultimi sei mesi, avrebbe incassato – direttamente o attraverso società intestate al suo principale collaboratore e a una sua storica fidanzata – trecentomila euro in cachet per la partecipazione a mostre, premi e inaugurazioni, compresa la presidenza della giuria per la finale di Miss Italia del prossimo 11 novembre. Notizie delle quali il ministro si era detto indignato, definendo il comportamento del suo sottosegretario «illegale», e denunciandolo pure all’Antitrust.

A suo tempo i giornali spiegarono che Giorgia Meloni si sarebbe occupata del caso non appena tornata dal Cairo, dove era impegnata in un vertice sulla crisi mediorientale, ma quale sia stato il frutto dei suoi sforzi non è dato sapere. Fatto sta che il sottosegretario è ancora al suo posto, dice che con Sangiuliano non ci parla e andrà pure a Miss Italia.

Siccome viviamo nell’epoca della post-verità, ma soprattutto nell’era della post-ironia, sfido il lettore a capire come debba essere dunque interpretata la seguente dichiarazione, realmente pronunciata dal sottosegretario Sgarbi in merito alla nomina del giovane La Russa al Piccolo teatro: «Conosco Geronimo La Russa e ne ammiro l’esemplare conduzione dell’Automobile Club d’Italia. Per questo ritengo che l’indicazione del ministro Sangiuliano sia apprezzabile ed espressa con piena convinzione e totale autonomia».

Personalmente, mi sono da tempo arreso all’impossibilità di distinguere quando parlano sul serio da quando scherzano (o pensano di scherzare). Ma comunque si vogliano prendere questi scampoli di dibattito sulle politiche culturali dentro al governo Meloni, e comunque se ne vogliano spiegare le singole nomine, per acclarata competenza nel settore automobilistico, per indiscutibili meriti civili o per chiara fama, mi pare ampiamente confermata la tesi che non ci sia dietro nessuna minacciosa ambizione egemonica. È solo fame.

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