Autogol costituzionali. Meloni prova a tirare la palla in tribuna, senza accorgersi che quella è la sua porta
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L’improvviso rilancio sulle riforme costituzionali non appare la più lucida delle sue scelte
31.10.202 Francesco Cundari, linkiesta.it
L’improvviso rilancio sulle riforme costituzionali, nel bel mezzo di una guerra mondiale (o quasi) e soprattutto di una guerra civile dentro la maggioranza (sulla legge di bilancio), non appare la più lucida delle sue scelte. Se voleva un diversivo, avrebbe fatto meglio a scegliere altro
Capisco che parlare di mossa della disperazione a proposito di Giorgia Meloni esponga a facili, scattanti e non imprevedibili repliche, sulla magnificenza dei suoi sondaggi, sullo stato moribondo delle opposizioni e sulla conseguente mancanza di alternative. L’originalità non è mai stata la forza del nostro dibattito pubblico.
Resta il fatto che l’improvviso rilancio sulle riforme costituzionali, nel bel mezzo di una guerra mondiale (o quasi) e soprattutto di una guerra civile dentro la maggioranza (sulla legge di bilancio), non appare decisamente la più lucida delle scelte compiute dalla nostra presidente del Consiglio. Se proprio le serviva un diversivo, sarebbe stato saggio scegliere qualcos’altro. È anche vero che i cavalli di battaglia generalmente utilizzati in simili occasioni erano al momento poco spendibili.
L’immigrazione? Tasto dolente. La sicurezza? Sei al governo del paese, di quasi tutte le regioni e di buona parte dei comuni, con chi te la vuoi prendere? Resterebbero giusto le malefatte di Macron e degli altri partner europei, ma vogliamo riaprire l’ennesima crisi diplomatica con la Francia e isolarci ulteriormente in Europa, rovinando l’unico terreno, la politica estera, su cui comunque Meloni è riuscita a ottenere qualche riconoscimento?
Dopo la sfilza di figuracce collezionate su una manovra che doveva essere inemendabile e blindata, e dopo essersi vantata in conferenza stampa di averla approvata in poche ore (in Consiglio dei ministri), definendola pure una grande prova di leadership, Meloni ha pensato dunque di giocare la carta delle riforme costituzionali. Così, tanto per tirare la palla in tribuna, ma senza rendersi conto che quella era la sua porta.
Confidando nell’intelligenza del lettore, ma non troppo nella sua pazienza, non rifarò, per l’ennesima volta, l’elenco di tutti quelli che hanno imboccato la stessa strada e sono finiti contro un muro. Quanto ai sondaggi meravigliosi e all’assenza di alternative – non solo per la divisione e per la debolezza delle opposizioni, ma anche per la dichiarata indisponibilità dei loro principali leader a qualsiasi soluzione che non passi dal voto – faccio rispettosamente notare all’intelligente ma poco paziente lettore che si diceva lo stesso all’inizio della scorsa legislatura (lo si dice sempre, all’inizio della legislatura) ed è finita con ben quattro governi e altrettante maggioranze, ognuna diversa dall’altra, in quasi tutte le combinazioni aritmeticamente possibili.
Non avendo nessuno di noi tempo da perdere, non entro dunque nel noiosissimo merito della fantariforma, se non per ricordare che l’elezione diretta del premier, ovviamente, qualunque cosa si scriva a proposito delle sue prerogative, e anche se per assurdo si mettesse nero su bianco che non conterà assolutamente niente, non può non alterare completamente l’equilibrio dei poteri tra Palazzo Chigi e Quirinale, costruendo le condizioni per controversie infinite, dal momento in cui si finirebbe per dare al capo del governo una legittimazione superiore (con l’elezione diretta) rispetto a quella del capo dello Stato, che dovrebbe essere (e rimanere) a lui sovraordinato.
Ma stiamo parlando, appunto, del nulla. Più interessante, semmai, sarebbe capire come Meloni possa essere arrivata a pensare che gli altri partner della maggioranza, così poco collaborativi sulla legge di bilancio, diventeranno leali e preziosi alleati proprio sulle riforme costituzionali, terreno ideale per ogni possibile manovra ostile. A meno di non voler credere che proprio su questo argomento Matteo Salvini, per dirne uno, al dunque farà prevalere il merito delle questioni, la parola data, le promesse fatte in campagna elettorale e i principi professati fino al giorno prima sulla convenienza tattica del momento.
Se non volete chiamarla mossa della disperazione trovate pure un’altra definizione, ma mi pare evidente che non è una scelta lucida.