Per Israele il diritto a esistere non basta. Un appello al governo

I diritti da difendere oggi sono anche altri quattro. Non negoziabili. Il diritto di resistere Il diritto di resistere. Il diritto di difendersi. Il diritto di reagire

18 OTT 2023 lettere Direttore ilfoglio.it lettura2’

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, il conflitto ultradecennale tra stato di Israele e arabi della Palestina è diventato – e non solo in Italia – una specie di porto delle nebbie, in cui i figli delle vittime della Shoah sono ritenuti responsabili del massacro di un altro popolo. La semplice comparazione è ignobile, ma la percezione è diffusa. Così almeno dal 1982 – anno dell’invasione del Libano – la memoria dello sterminio si è scontrata con difficoltà sempre più grandi. Anche perché, nell’antropologia del sacrificio, la vittima deve sempre apparire innocente. Lo stato israeliano non è innocente, l’ebreo di Israele non è innocente, ma perché si è difeso e ha combattuto per la sua sopravvivenza. E fin qui, per fortuna, con successo. Ma oggi il suo diritto a esistere viene nuovamente messo in discussione: dai tagliagole di Hamas e dai suoi burattinai, i quali forse sperano che Gaza venga rasa al suolo per proclamare la “guerra santa” contro gli infedeli. Chi vivrà vedrà. Beninteso, chi non ha perso il senno sa che da oltre mezzo secolo la questione israelo-palestinese provoca non una critica – lecita – delle politiche dei suoi governi, bensì la sua delegittimazione come stato. Di più: l’identificazione di sempre più ampi settori della diaspora con Israele ha innescato un nuovo antiebraismo, non riconducibile né alla tradizione antigiudaica cristiana né all’antisemitismo razziale, ormai ridotto a un culto esoterico. Gli ebrei della diaspora vengono pertanto considerati gli emissari, i complici, i rappresentanti di un avamposto militare dell’impero americano, come recita la propaganda islamista e quella a ovest di Allah. Le conseguenze sono state disastrose: sul terreno della memoria, le sofferenze dei palestinesi sono state equiparate al genocidio nazista, fino a renderlo equivalente con la repressione israeliana nella Terra di Abramo. Tuttavia, le aberrazioni e distorsioni della realtà che spadroneggiano nei social, nei talk-show televisivi e nei cortei studenteschi non possono essere contrastate facilmente. Infatti, spesso non basta l’esibizione dei fatti e delle prove. Quelle aberrazioni e distorsioni sono effetti di un analfabetismo politico e culturale che riduce la memoria della Shoah a un’invenzione e a un indebito ricatto morale dei discendenti di sei milioni di morti. Anche per questo c’è bisogno del Foglio e delle sue battaglie contro il sonno della ragione che avvelena i pozzi del dibattito pubblico nel nostro paese. Grazie.

Michele Magno

Il diritto a esistere, però, caro Magno, non basta. E’ necessario ma non è sufficiente. I diritti da difendere oggi sono anche altri quattro. Non negoziabili. Il diritto di resistere. Il diritto di difendersi. Il diritto di reagire. Il diritto del popolo palestinese a non essere ostaggio dei terroristi, che usano il popolo che fingono di rappresentare solo per fare quello che sognano i tagliagole, i fondamentalisti islamici di tutto il mondo: uccidere l’infedele.

  

  

Al direttore - E noi che facciamo? 199 persone, donne, uomini, bambini sono stati rapiti da Hamas. Durante il massacro del 7 ottobre, avvenuto di sabato e durante la festività ebraica di Shemini Atzeret, i terroristi appartenenti al gruppo fondamentalista hanno sfondato il confine e sono entrati in territorio israeliano. Hanno stuprato, torturato, massacrato e vilipeso donne e bambini, giovani e anziani, tra cui almeno una sopravvissuta alla Shoah. Hanno ammazzato i genitori e poi i bambini, hanno sterminato i bambini e poi i genitori. Oppure ammazzato gli uni e catturato gli altri. Hanno squarciato il ventre di una donna incinta e le hanno ucciso davanti il bimbo che portava in grembo, quale miglior celebrazione della morte. Hanno riso, hanno filmato tutto. Poi, ubriachi per tanta selvaggia violenza, i terroristi se ne sono tornati a Gaza con il loro bottino. Dal 7 ottobre non sappiamo nulla degli ostaggi. Che ne sarà dei bambini? Le loro facce girano sui social. Uno ha sei mesi, chi gli cambierà i pannolini? E poi gli altri, di 2, 3, 4, 5, 8, 12 anni. Bambini e bambine. E donne e uomini e anziani. Imprigionati in qualche tunnel del terrore. E noi che facciamo? Un senso profondo di angoscia e impotenza ci pervade. I 27 dell’Unione europea ne hanno chiesto la liberazione, ma non basta. Sappiamo tutti chi è il mandante, l’Iran. Chiediamo al governo di convocare al più presto l’ambasciatore iraniano a Roma e di esigere l’intervento degli ayatollah affinché siano liberati gli ostaggi. Sappiamo tutti chi ha contribuito a finanziare Hamas, il Qatar. Ministro Tajani, convochi l’ambasciatore! Rivolgiamoci alla Croce Rossa Internazionale affinché chieda al regime al potere a Gaza di poter entrare e visitare gli ostaggi. Possono farlo anche i lettori, sollecitando via mail la Farnesina e scrivendo alla Croce Rossa Internazionale tramite il sito www.icrc.org/en/contact#media-contacts e nella pagina visualizzata cliccare sul rettangolo col contatto di Ewan Watson e inserire nell’oggetto: Demand to visit Israeli hostages.

Yasha Reibman

Fatto.

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