Deep sea mining, cos’è la controversa corsa ai fondali oceanici a cui anche l’Italia vorrebbe partecipare

Gli interessi di Saipem e Fincantieri per estrarre minerali dal profondo degli oceani e il fronte europeo che chiede una moratoria.

11.10.2023 - 14:38 di Gianluca Brambilla ope.online.it letura2’

Il governo italiano non chiude ma spinge sulla precauzione . La transizione ecologica ha bisogno innanzitutto di nuove materie prime. E la corsa per accaparrarsele rischia di spostarsi nelle profondità più oscure e inesplorate del nostro pianeta: i fondali oceanici. È lì che diversi Paesi e aziende di tutto il mondo vorrebbero dare vita a una nuova enorme industria: il Deep sea mining, ovvero l’estrazione di metalli e altri materiali dal fondale degli oceani. Una pratica che ha scatenato un’ondata di sdegno e critiche non solo da parte delle principali associazioni ambientaliste, ma anche della comunità scientifica. Se non altro, per una questione di principio: perché andare a cercare i cosiddetti critical raw materials – tutti quei materiali ritenuti indispensabili per la transizione energetica – in uno dei pochissimi habitat incontaminati rimasti sulla Terra? Di recente, questa domanda è finita anche sul tavolo dell’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (AIFM), l’agenzia dell’Onu incaricata proprio di regolamentare le attività sui fondali marini e oceanici. All’ultima assemblea che si è svolta a luglio a Kingston, in Giamaica, è andato in scena uno scontro tra chi vorrebbe dare finalmente il via libera alle esplorazioni commerciali – aprendo di fatto allo sfruttamento delle risorse depositate sui fondali – e chi si sbraccia per impedire la nascita di una nuova (ennesima) industria inquinante.

 

La valutazione di Pichetto Fratin

Finora l’Italia non ha espresso una posizione ufficiale su questo tema, anche se i segnali sembrano puntare decisamente in una direzione. «Una delle tante sfide che ci attendono è la corsa al mondo subacqueo e alle risorse geologiche dei fondali – ha detto la premier Giorgia Meloni qualche settimana fa intervenendo al Forum “Risorsa Mare” di Trieste –. Un dominio nuovo nel quale l’Italia intende giocare un ruolo di primo piano». Ora è il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin a delineare meglio la posizione del governo italiano. «L’Italia – fa sapere il ministero a Open – è convinta della necessità di applicare puntualmente il “principio di precauzione” relativamente allo sfruttamento commerciale delle risorse minerarie presenti nei fondali marini (cd. deep sea mining) per prevenire ed evitare possibili gravi ed irreparabili danni ambientali alla biodiversità, agli ecosistemi e possibili inquinamenti marini». Insomma, di estrazioni minerarie in acque profonde se ne può parlare. A patto però, precisa il Mase, di raggiungere «un’adeguata conoscenza dell’impatto ambientale di tali attività» e adottare «un solido regime regolatorio».

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