Arcipelago Schlein Il fumoso caminetto di Franceschini e il nulla straziante del Pd
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Il partito democratico non ha nessuna strategia politica, solo manovre interne di piccolo cabotaggio per sostenere la segretaria fino a quando non sarà necessario cambiare rotta
30.9.2023 Mario Lavia linkiesta.it lettura3’
Tranquilli, non c’è nessun dibattito politico nel Partito democratico. Magari ci fosse. C’è solo una nuova fibrillazione legata al posizionamento delle correnti e dei loro capi: tutti ormai basano i loro ragionamenti guardando alle elezioni europee, e dunque al Nazareno si portano avanti col lavoro e sono già iniziate le grandi manovre. Ma nulla che riguardi la strategia di un partito che in un anno di opposizione – secondo tutti i sondaggi – non ha praticamente guadagnato niente, restando intorno a quel venti per cento con cui fai la birra.
Invece di preoccuparsi di questo, i dirigenti del Partito democratico sono impegnati nel lanciarsi segnali di fumo tra di loro. L’ultima puntata vede la nascita, più che di una corrente, di un patto di sindacato interno alla maggioranza che regge Elly Schlein (ma senza gli schleiniani!) escogitato da Dario Franceschini. Un patto di sindacato chiamato “Arcipelago”, una specie di “caminetto autoconvocato”, il cui senso si può decodificare in un modo e nel modo opposto.
Si tratta di un schieramento a favore di Elly Schlein? O invece di un alert proprio rivolto alla segretaria? Già in questa ambiguità si condensa tutta la povertà di questa “dialettica” interna, ma se dovessimo scegliere opteremmo per la seconda ipotesi. Il cui messaggio, se così si può definire, alla giovane leader è questo: qualunque sarà il risultato delle europee saremo noi “adulti” a decidere il da farsi, e intanto non ti preoccupare che per ora qui ci siamo noi.
Il che, franceschinianamente, significa questo: se Schlein supererà di un bel po’ il venti per cento (più venticinque che venti) resta leader e lui la condiziona; se andrà sotto, la manderà via. Tipico di Franceschini, da sempre costruttore e distruttore di leader, liste, governi. Fossimo in Elly Schlein, non gradiremmo.
Nel “patto di sindacato” ci sono i soliti: Francesco Boccia, Nicola Zingaretti, la new entry Dario Nardella – riavvicinatosi alla segretaria in vista di una candidatura alle europee dopo averla improvvisamente mollata al congresso – i nuovi arrivati (definiti da qualcuno «quelli in vendita») autoproclamatisi «neoulivisti» (Anna Ascani, Marco Meloni e lettiani vari), si è provato a tirar dentro la sinistra interna ma gli è andata male, forse c’è l’intento di acchiappare in futuro altri esponenti che fluttuano tra la leader e Base riformista, la corrente di Stefano Bonaccini che oscilla tra una linea molto critica verso Schlein (Lorenzo Guerini) e una ben più accomodante (Bonaccini stesso) e deve decidere cosa fare da grande.
In tutto questo ginepraio, la leader va avanti con la sua squadra macinando (e talvolta bruciando) proposte e iniziative. Ieri è stata davanti alla fabbrica della Marelli di Crevalcore che rischia di chiudere. Un gesto significativo. Dalla sua parte c’è sicuramente Pier Luigi Bersani che ieri su Repubblica si è sperticato in lodi per la segretaria bocciando chi la dipinge come «una macchietta», una segretaria che a lui appare come l’ultima spiaggia per salvare il Partito democratico e l’idea del campo largo apertissimo al Movimento di Giuseppe Conte – il quale peraltro continua a ignorare le profferte del Nazareno per intese anche solo sui singoli temi.
Ma a dire la verità la proposta di Bersani è l’unica chiara, mentre le altre correnti vivono alla giornata cercando di assestarsi tatticamente nel panorama interno come meglio conviene. Già pensano al risultati del 9 giugno, mentre il Paese va a ramengo sotto la guida di una destra già in panne. Primum vivere, deinde philosophari, giusto? Una come Elly Schlein dovrebbe lasciarli cuocere nel brodo delle rendite di potere e cercare di aprire, lei, una discussione seria sul futuro di un partito bloccato