Quando gli scioperi indeboliscono più gli operai che gli avversari
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Sindacati Sciopero mezzi pubblici per: “blocco delle spese militari e dell’invio di armi all’Ucraina”. Pacifisti a casa, cittadini in strada.
28 SET 2023 Lettere Direttore del foglio.it lettura3’
Al direttore - Più crescita e meno deficit nel 2024 e l’ottimista sarebbe il Foglio?
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Venerdì (te pareva) 29 settembre sciopero di 24 ore dei mezzi pubblici a Roma. Tra i punti centrali della piattaforma dei sindacati di base, il “blocco delle spese militari e dell’invio di armi all’Ucraina”. Pacifisti a casa, cittadini in strada.
Michele Magno
Le solide motivazioni rimangono, of course, e ormai è un classico che i mezzi pubblici a Roma incrocino le braccia per ragioni geopolitiche. Ma intanto lo sciopero dei trasporti pubblici che era previsto per il 29 settembre è stato rimandato al 9 ottobre (Salvini aveva firmato un’ordinanza con cui lo aveva ridotto da 24 a 4 ore e i sindacati di base hanno scelto di riconvocarlo per quella data). Diceva Trotsky che ci sono dei casi in cui lo sciopero può indebolire più gli operai che il loro diretto avversario. Continuare a scioperare senza rendere evidenti le ragioni degli scioperi può essere proprio uno di quei casi.
Al direttore - “Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a modo suo”. Ne era così convinto Lev Tolstoj da farne l’incipit del suo romanzo “Anna Karenina”. Ma poi è arrivata Esselunga e ci ha spiegato che lo scrittore russo si sbagliava, la legge sul divorzio da 50 anni si sbaglia, le 100 mila famiglie che si separano ogni anno in Italia si sbagliano. Perché, secondo Esselunga, anche tutte le famiglie infelici si somigliano: dopo un divorzio i genitori smettono di parlarsi e i figli, per quanto soffrono, smettono proprio di parlare. E pensano costantemente a come far tornare insieme i genitori. Inventandosi, ad esempio, lo stratagemma della pesca. C’è una cosa che paradossalmente manca nel dibattito, nello spot e persino in “Anna Karenina”: mentre al centro della riflessione sembra che ci siano i figli – evitare la sofferenza è motivo sufficiente per far restare insieme i genitori se si detestano? – in realtà è un discorso sugli adulti e fra gli adulti, sui loro sensi di colpa e del dovere. E i bambini scompaiono. Di Anna Karenina sappiamo tutti che si butta sotto un treno, di suo figlio Sereza nessuno sa che fine fa già da metà romanzo. E di questo spot sappiamo che ne pensano Meloni, Salvini e Bersani, e immaginiamo cosa ne pensino i 200 mila separati e possiamo anche indovinare cosa ne pensino i loro 200 mila nuovi compagni che spesso fanno la spesa con quei figli non loro e comprano ogni tipo di frutta esotica (altro che pesche di supermercato, fragoline di bosco bio!) per essere accettati dalla prole in sharing. Ma di quello spot, se lo vedesse ad esempio una bambina di 6 anni figlia di separati (ed essendo andato in onda sulla tv generalista si assume che ciò avvenga) che ne penserebbe? Forse più che avere voglia del nettare ambrato si troverebbe in una condizione di disagio. E forse penserebbe che, se non ha fatto lo stesso trucchetto della pesca, è proprio per colpa sua che i genitori non sono tornati insieme. Una drammatica e ingiusta responsabilizzazione dei minori. Allora, se abbracciamo l’analisi della pubblicità dagli occhi infantili, il tratto principale dello spot non è la retorica ma l’angoscia: i tempi lenti, gli sguardi persi, il mutismo, la finestra nera verso cui guarda il padre e nessuno si affaccia. E la prossima volta che la figlia di un mio amico separato – che ha cominciato a fare la spesa solo dopo il divorzio ed è diventato bravissimo a raccogliere i punti premio, che è l’unico maschio nella famigerata chat di classe ed è riuscito a diventare rappresentante di classe – la prossima volta che questa bella bimba bionda gli chiederà di comprare le pesche, quel papà che ogni giorno scardina il cliché della separazione dolorosa, la domanda “mia figlia sta bene?” certamente se la farà. E’ questa la colpa dello spot di Esselunga, non la retorica, è portare angoscia, forse anche proprio a quei bambini che, quando entrano al supermercato, l’unico scaffale a cui sono interessati è quello delle Haribo.
Linda Maria