Generazioni oscure. La distanza siderale tra Napolitano e il nuovo corso del Pd
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Il funerale del presidente emerito della Repubblica ha mostrato un distacco storico tra la vecchia generazione di sinistra e la nuova che percepisce l’ex capo dello Stato come una figura remota e irrilevante
27.2.2023 Mario Lavia, linkiesta.it lettura3’
I funerali di Giorgio Napolitano, così solenni, così intensi, hanno rappresentato una sorta di spartiacque tra un prima e un dopo. Non sono stati i parlamentari in carica a gremire l’aula di Montecitorio ma gli ex: ieri si è vista la generazione dell’ultimo Napolitano, il due volte Capo dello Stato, e in parte era scontato che fosse così: la Seconda Repubblica e quel che resta della Prima si sono raccontate nel modo più unitario possibile. I segnali che dovevano essere dati sono stati dati.
Gianni Letta, parlando di «lutto repubblicano», ha disintegrato la vulgata complottarda alla Alessandro Sallusti, Paolo Gentiloni ha esaltato l’europeismo come «via maestra» indicata del presidente emerito, Giuliano Amato ha rilevato il suo alto profilo istituzionale, Anna Finocchiaro ha parlato commossa da compagna di partito, monsignor Gianfranco Ravasi dell’assoluto livello culturale e persino spirituale di Giorgio Napolitano e il figlio Giulio e la dolce nipote Sofia hanno saputo toccare le corde giuste. Tutto perfetto.
E non c’è da meravigliarsi se i più giovani parlamentari della Lega o di Fratelli d’Italia abbiano preferito restare a casa allungando il weekend o svolgere altrove la loro attività, probabilmente per molti di loro Giorgio Napolitano resta un comunista e comunque uno che certo non occupa i loro pensieri: non è che la curiosità intellettuale o anche solo il rispetto istituzionale alberghi comodamente nella destra italiana.
Ciò che colpisce di più invece è quel certo distacco, anagraficamente spiegabile ma che è comunque una novità, a sinistra, quella sinistra che in teoria deve molto a Napolitano. Non che non fosse presente, anzi: tanti parlamentari o ex parlamentari di sinistra hanno tracimato sui banchi della destra per trovar posto. Non è questo il punto.
La sensazione è che, con qualche eccezione, la nuova generazione della sinistra italiana si percepisca proprio come altra cosa rispetto a quella precedente o, come nel caso di Napolitano, di molto precedente, rompendo un’attitudine psicologica e intellettuale caratteristica della storia della sinistra, quella di perpetuare una concatenazione innanzi tutto emotiva tra le generazioni. Fino a che è esistito il Partito comunista un giovane di una sezione piangeva quando moriva un ex partigiano con il triplo degli anni suoi.
Per farla più semplice, verrebbe da pensare che i dirigenti del nuovo Partito democratico — perché di questo si parla — vivano Napolitano più alla stregua di un dirigente della Resistenza se non addirittura del Risorgimento che come una figura centrale della loro storia, cioè come una grande personalità ma irrimediabilmente lontana da sé, forse persino troppo lontana.
Che c’entra questo Pd con l’ex dirigente del Partito comunista italiano? Cosa c’entra non solo l’Ungheria ma l’autocritica sull’Ungheria con il salario minimo o l’emergenza climatica? Ecco, si potrebbe dire per i giovani dem quello che diciamo dei nostri figli o degli studenti di oggi: non mostrano un grande senso della storia, sicché è il famoso presentismo a dominare laddove un tempo si coltivava la memoria che in fin dei conti è un’arma forte per cambiare il presente.
Forse a furia di svellere le radici, quelle guaste e quelle sane, ci si è messi nelle condizioni di provare persino un certo fastidio per una stagione nettamente superiore, dal punto di vista intellettuale, morale e politico, a quella odierna. Ed è come se in fondo all’animo dei giovani si fosse aggrovigliato un sentimento simile all’invidia per uomini e stagioni che hanno fatto della sinistra un grande racconto di popolo, cosa che a loro non riesce di fare. Non è polemica ma un dato su cui riflettere.
Da venerdì sera, cioè da quando si è saputo della morte di Napolitano, flebili e rare sono state le voci degli esponenti del Partito democratico, cosa inaudita ai tempi in cui la continuità morale e un senso ineffabile di appartenenza facevano premio su qualunque altra cosa. Sarebbero capaci i vertici attuali del Pd di tenere un grande discorso sul presidente della Repubblica emerito?
Se la risposta fosse negativa, e temiamo che lo sia, verrebbe da chiedersi se questa distanza intellettuale e questa debolezza di memoria non possano essere elementi di freno alla costruzione di una grande forza di popolo e insieme di governo — perché governo e popolo hanno bisogno di anima e storia — e se i giovani dirigenti del Pd non resteranno vittime del presentismo facendo politica senza quella memoria che costituisce la base della propria avventura