Gli autarchici. Il tinello di casa Meloni e il surreale tentativo di egemonia culturale della destra

Dopo quasi un anno di governo, il partito della premier non è riuscito ad attirare personalità di spicco: è sempre il solito girotondo di sorelle e cognati, camerati e fedelissimi, respingente per tutti gli altri

26.8.2023 Mario Lavia linkiesta.it lettura3’

A quasi un anno dalla vittoria elettorale di Giorgia Meloni nessuna personalità esterna a quel mondo ha aderito a Fratelli d’Italia. Di solito l’effetto flaianesco della corsa in soccorso del vincitore si determina puntualmente. Questa volta no. A parte gli immancabili aspiranti a una cosetta in Rai che vivono al Caffé Vanni dietro viale Mazzini nella speranza di beccare qualche uomo Rai targato Fratelli d’Italia, non si registrano particolari adesioni al nuovo corso politico che ha nel partito il suo fulcro e nella premier la figura centrale del quadro politico.

Nessun parlamentare, se non sbagliamo, è migrato nel partito della presidente del Consiglio. Gli intellettuali di vario ordine e grado che scodinzolano attorno a Giorgia erano già prima destrorsi o mezzo fascisti, attori e cantanti non se ne vedono – siamo sempre fermi a Pino Insegno – né registi o musicisti o narratori.

La tanto strombazzata ricerca di una egemonia culturale alla fine si sta concretizzando nemmeno come una roba di nani e ballerine. Altro che il Psi di Bettino Craxi, che al confronto era la scuola di Atene dipinta da Raffaello, e in effetti lo stuolo di intellettuali era imponente. E la stessa Forza Italia delle origini attirò belle teste, professori, giornalisti. Persino a Gianfranco Fini andò meglio. Qui, zero. Strillano forte i giornali di destra imbaldanziti dalla presa del potere, ma sono sempre i soliti che già suonavano il piffero della destra, più o meno sono quelli di prima del 25 settembre 2022.

Sarà dunque un duro lavoro quello del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari chiamato a supervisionare l’immagine del partito, tra l’altro in una commistione tra partito e governo tipica dei regimi: non si tratterà solo di evitare le castronerie quotidiane di Lollobrigida o Donzelli (per tacere del presidente del Senato) che già pare un compito improbo ma di trovare qualche faccia nuova che propali il verbo meloniano o meglio ancora qualcuno che sappia mettere in buon italiano i concetti elaborati a Palazzo Chigi: già questo sarebbe moltissimo, giacché escluderemmo in radice la possibilità di incunearsi nelle arti, nella letteratura, nel cinema (piazzato Alessandro Giuli al MAXXI, adesso arriva il turno di Pietrangelo Buttafuoco alla guida della Biennale di Venezia: dopodiché gli intellettuali organici al melonismo sono finiti).

Perché nessuna personalità di rilievo dell’arte o della scienza trasmigra dalle parti di Giorgia? Perché in questa epoca di trasformisti e voltagabbana non c’è un straccio di senatore o deputato che passi nei gruppi guidati dai prestigiosi Lucio Malan e Tommaso Foti?

Due possibili spiegazioni, azzardiamo. La prima è che forse non si punta troppo su una longue durée del melonismo di governo, e che quindi non convenga approdare su lidi considerati alquanto limacciosi: è un’ipotesi che si salda a quella di Stefano Folli che ieri su Repubblica ha evocato la possibilità che la luna di miele di Giorgia si stia in qualche modo esaurendo.

La seconda spiegazione sta nella natura respingente di Fratelli d’Italia, un partito-setta, restio a cercare “le cose nuove”, abbarbicato nella sua vecchia identità, prigioniero dei suoi tradizionali linguaggi e delle sue consolidate idiosincrasie culturali, un partito conchiuso nelle sue nuove e soprattutto vecchie certezze, incapace di contaminarsi con l’altro da sé perché dell’altro da sé bisogna diffidare, certamente non è abbastanza «patriottico» e magari è in odore di cosmopolitismo in fin dei conti «comunista».

Per questo Fratelli d’Italia resta una cosa “loro” e tutti i dirigenti sono “loro”. I “Gabbiani” vigilano come i pasdaran iraniani. Se non sei dei loro non entri. Possono fare tutti i maquillage che vogliono, alla fine Fratelli d’Italia è un partito orientale, uno scrigno la cui chiave è nelle mani di sorelle e cognati, camerati e fedelissimi, in piccolo girotondo chiuso e abbastanza antipatico.

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