Lo smottamento del sistema politico

Dopo il governo Draghi è morta la vecchia politica di bandiera: come cambia l’assetto dell’offerta politica

Renato Mannheimer e Pasquale Pasquino — 7.8. 2022 ilriformista.it lett4’

Dopo il governo Draghi è morta la vecchia politica di bandiera: come cambia l’assetto dell’offerta politica

L’accordo firmato fra il Pd, Azione e +Europa sembra indicare anche un mutamento che trasforma in parte l’offerta politica italiana: la quale per certi versi (ma solo per certi versi) comincia vagamente a rassomigliare a quella francese: con una sinistra, una sorta di centro e una destra.

Come si sa, la fine anticipata del governo Draghi ha spezzato la prospettiva di un accordo fra la sinistra moderata e quella che appare ormai come una versione della sinistra radicale, che si identifica in questo momento principalmente (pur con altri protagonisti di minor rilevo elettorale) con quel che rimane del M5S (il quale, è utile ricordarlo, si presentava all’origine come “né di destra né di sinistra” e di fatto era collocato dai suoi leader – e anche dalla gran parte dei suoi elettori di un tempo – come “esterno” al continuum sinistra-destra).

La scelta di Letta di abbandonare quello che, dopo le varie scissioni, è rimasto in vita del movimento di Grillo – meno di un terzo dei voti potenziali ottenuti nel 2018 e 165 parlamentari invece di 339 – e l’alleanza con il nuovo partito di Carlo Calenda e quello di Emma Bonino, da un lato potrebbero (tranne mutamenti dell’ultimo minuto) escludere di fatto dall’accordo un’ala di sinistra radicale (nonostante, forse, la poco rilevante presenza di Fratoianni e dei Verdi), e dall’altro rafforzano significativamente al tempo stesso la posizione riformista del Pd. Ciò che è poi il reale significato dell’invocazione dell’“agenda Draghi”. Angelo Panebianco sul Corriere della sera ha giustamente osservato che il termine “centro” ha vari significati e dunque in quanto tale non ne ha nessuno preciso, ma può legittimamente fare riferimento alle forze moderate che rifiutano le posizioni estreme.

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In questo senso, l’esperienza del governo Draghi e la sua fine sembrano aver imposto una forse salutare torsione al sistema politico italiano. Da un lato, nella coalizione detta di centro destra, il partito più identificato con la destra, quello di Giorgia Meloni, grazie anche al suo essersi mantenuto rigorosamente all’opposizione, gode ormai di una posizione di preminenza in quella coalizione o cartello elettorale, come sarebbe più esatto definire l’accordo fra FdI, Lega e FI. Al polo opposto, il partito di Conte occupa da solo e per ora senza alleati (ma in cerca di questi ultimi, anche con qualche possibilità di successo, a seconda dello sviluppo degli avvenimenti dei prossimi giorni) lo spazio dell’offerta politica. Sicché l’alleanza fra il Pd e Calenda e Bonino può ben essere considerata come una offerta intermedia sull’asse sinistra-destra, con un’area di sinistra tout court da una parte e una prevalentemente di destra dall’altra. Naturalmente, la decennale opposizione fra destra e sinistra che ha caratterizzato la vita politica italiana sin dal 1948, rende questa possibile tripartizione dello spazio politico ancora estranea alla maniera di pensare le elezioni e, in generale, il confronto politico in Italia. Destra e sinistra, conservatori e social-comunisti restano per molti l’unica possibile alternativa elettorale, con tutte le possibili sfumature interne ai due campi.

Ma qualcosa si muove nel sistema dei partiti e un mutamento potrebbe essere in corso, con un diverso assetto dell’offerta politica. Vedremo. Resta comunque il fatto che il governo senza colore politico, voluto dal presidente Mattarella e accettato da tutti i partiti, salvo FdI, potrebbe avere rappresentato qualcosa di più che un governo di eccezione, cioè l’appello ad un podestà estraneo alla classe politica con la funzione di gestire la doppia emergenza sanitaria da un lato e economico-finanziaria dall’altro. Potrebbe – e dovrebbe – aver fatto anche intravedere una modalità di governo rivolta al bene comune, senza l’ossessione continua e totalizzante della vittoria elettorale. La si è chiamata tecnocrazia, ma è stata considerata da una parte non secondaria di cittadini, come hanno mostrato tutti i sondaggi, una forma di “buon governo”, guidato da persone competenti e senza preoccupazioni di essere rieletti. Alcuni hanno sostenuto che si è trattato di una fuoriuscita dal sistema democratico rappresentativo. Ma non è così: il governo Draghi è stato istituito grazie alla fiducia in parlamento dei rappresentanti eletti e sono gli stessi che hanno posto fine dichiarandosi, ostili a fargli continuare a dirigere l’esecutivo, pur senza sfiduciarlo numericamente. Come avviene esattamente in tutti i regimi democratici e parlamentari.

Insomma, l’esperienza del terzo governo della XVIIIa legislatura ha mostrato l’importanza del ruolo di governanti moderati, esperti e con buona reputazione in Italia e all’estero. Di questo dovrà tener conto l’esecutivo che verrà dopo le elezioni di settembre. La sua composizione, che in base alle norme della nostra costituzione spetta al primo ministro incaricato e al presidente della repubblica (e non ai partiti prima delle elezioni), darà indicazioni su ciò che al di là degli slogan elettoralistici vorrà e potrà fare la nuova maggioranza. Ma è poco verosimile che dopo il governo Draghi si possa tornare alla situazione che caratterizzava il sistema politico prima di esso, senza produrre gravi danni al Paese.

Renato Mannheimer e Pasquale Pasquino

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