A ogni costo, purché non sia populista. L’impolitico Draghi fa quello che avrebbero dovuto fare i politici del Pd
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Il presidente del Consiglio non ha ceduto ai ricatti dei demagoghi e dei sovranisti, perché sa che i problemi non si risolvono con le balle. Si risolvono dicendo la verità, cosa che i vertici del Partito democratico hanno rifiutato di fare da tre anni a questa parte
Francesco Cundari 21.7.2022 linkiesta.it lett3’
Si dice spesso che Mario Draghi non sia un politico, impressione che alcuni passi falsi, obiettivamente, hanno a volte corroborato. Da ultimo, nel suo discorso di ieri in Senato, con l’infelice riferimento ai numerosi appelli da cui ha tratto la conclusione che erano gli italiani a chiedergli di andare avanti. Un passo falso di cui ha subito approfittato Fratelli d’Italia per far notare, giustamente, che la volontà degli italiani si esprime con il voto, non con gli appelli.
Ciò nonostante, nella giornata di ieri Draghi ha costretto tutti a rivedere molti giudizi affrettati. La durezza e la nettezza con cui ha parlato di rigassificatori, balneari e superbonus non è stata affatto, come qualcuno ha detto, il segno del suo essere un «impolitico». Semmai è stata il segno del fatto che sia un politico migliore di quelli del Partito democratico, che pur pensandola allo stesso modo su ciascuno degli argomenti citati, e sui molti altri che potremmo citare, a cominciare dai termovalorizzatori, in questi ultimi tre anni hanno teorizzato e praticato il cedimento a tutto il peggio della demagogia grillina pur di restare al governo.
Draghi ha fatto quello che il Pd avrebbe dovuto fare alla nascita del secondo governo Conte. Il presidente del Consiglio non-politico ha fatto quello che i fin troppo esperti politici del Partito democratico avrebbero dovuto fare allora. Ha chiarito che si può governare con tutti per fronteggiare un’emergenza, ma non per aggravarla. E soprattutto ha chiarito che si può governare l’Italia con i populisti ma non con il populismo. Nel pieno di una crisi energetica i rigassificatori vanno fatti e basta, dinanzi a una capitale soffocata dall’immondizia i termovalorizzatori vanno fatti e basta, nel pieno di una crisi economica e con il debito già alle stelle i conti vanno tenuti sotto controllo e basta, e i soldi non si possono buttare dalla finestra. Non è una scelta di politica economica, è una scelta di sopravvivenza.
Più di ogni altra cosa, però, Draghi ha chiarito che i problemi non si risolvono con le balle. Come ha detto a proposito del superbonus, il danno non lo ha fatto lui dicendo che la norma è stata scritta male, ma chi l’ha scritta in quel modo, e ora «bisogna riparare al malfatto».
Questo è il punto. Riparare al malfatto. Dire la verità su come stanno le cose e fare il possibile per aggiustarle. Non cedere al ricatto di chi, dopo averle irrimediabilmente sfasciate, pretende di sentirsi pure dire che ha fatto un capolavoro, come condizione irrinunciabile per consentire anche solo di limitare minimamente il danno. Ma il danno prodotto dalla conferma di questo modo di fare politica – e di discuterne – è persino superiore al danno fatto dalle singole scelte. Bene ha fatto dunque Draghi a sottrarsi e a interrompere questa spirale.
Del resto, ne abbiamo la controprova, che sta nei risultati ottenuti dal Pd in questi tre anni, persino sulla Costituzione, su cui è stato capace di rimangiarsi, con la benedizione di Enrico Letta da Parigi, ben tre voti contrari al taglio lineare dei parlamentari.
Tutti coloro che hanno partecipato a questo scempio e ora gridano al pericolo che all’indomani del voto il centrodestra possa riscrivere da solo la Costituzione dovrebbero avere almeno il pudore di tacere. Non parliamo di chi, come Letta, appena eletto segretario ha rilanciato il maggioritario, rendendo ancora più difficile l’accordo sul proporzionale che avrebbe sventato quel pericolo. In perfetta coerenza, va detto, con la decisione di confermare la strategia zingarettiana di alleanza con il Movimento 5 stelle a ogni costo, che è la vera ragione cui si è sacrificata ogni questione di merito e di principio.
La legislatura finisce dunque com’era cominciata: con il Movimento 5 stelle schierato sulle stesse posizioni del centrodestra. Il trionfo di quel bipopulismo che qui denunciamo da tre anni, e al quale ha spianato la strada proprio chi prima di ogni altro avrebbe dovuto combatterlo, come del resto capita spesso con chi fa troppo facilmente professione di realismo