È sempre più una scuola di supplenti

Perché i due serbatoi di reclutamento degli insegnanti si sono esauriti. La soluzione passa per tre condizioni.

26.07.19 Andrea Gavosto www.lavoce.info

13 Commenti

La promessa di tante nuove assunzioni e la necessità di chiamare moltissimi supplenti: il prossimo anno scolastico si apre con un paradosso. Perché i due serbatoi di reclutamento degli insegnanti si sono esauriti. La soluzione passa per tre condizioni.

Come si recluta un insegnante

Per il nuovo anno scolastico il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti vuole assumere 58.627 insegnanti, di cui 14.552 per il sostegno, che andrebbero ad aggiungersi ai circa 680 mila in ruolo. Nel contempo, il numero di supplenti annuali segnerà a settembre un nuovo record, sfiorando i 200 mila.

Per decifrare l’apparente paradosso va fatto un passo indietro, spiegando le regole che governano l’assunzione degli insegnanti in Italia. Sono meccanismi arcaici, il cui effetto sarà che moltissime cattedre a cui destinare i neoassunti rimarranno vuote per mancanza di candidati: come l’anno scorso, quando il ministero dell’Economia e Finanza aveva autorizzato 57 mila nuove assunzioni, ma ne furono possibili meno della metà. Perciò sono serviti e serviranno tanti supplenti.

Da decenni è previsto che le immissioni in ruolo avvengano da due canali. Nel 2006 il ministro Fioroni diede alla normativa la forma che ancora oggi conserva: metà degli assunti deve provenire dalle graduatorie di merito dei concorsi ordinari, l’altra metà dagli iscritti alle graduatorie a esaurimento (Gae), liste provinciali di docenti con l’abilitazione, ordinati per classe di concorso sulla base dell’anzianità di servizio e dei carichi familiari. Il problema è che entrambi i canali sono pressoché esauriti. I vincitori nel 2016 dell’ultimo concorso ordinario sono ormai in cattedra; il ministro ha annunciato nuovi concorsi, che realisticamente non potranno terminare prima del 2020. L’altro bacino è stato svuotato della maxi-sanatoria voluta dal governo Renzi con la Buona scuola (oltre 90 mila assunti in ruolo soltanto nel 2015-2016, la maggior parte dalle Gae), che aveva proprio l’obiettivo di chiudere le graduatorie di abilitati una volta per tutte. Le prime a essere prosciugate sono state quelle delle materie matematiche e scientifiche al Nord, dove già da tempo erano in pochi; ma anche quelle un tempo assai consistenti dei docenti abilitati in altre classi di concorso, incluse le letterarie, sono ormai quasi esaurite in un numero crescente di regioni italiane. Particolarmente drammatica è la carenza di docenti qualificati al sostegno. Va sottolineato che per chi proviene dalle Gae, a differenza dei concorsi, non si può verificare l’aggiornamento e le capacità didattiche, sono persone in possesso di un’abilitazione spesso vecchia e con percorsi di formazione eterogenei: a soffrirne è in primo luogo la qualità dell’insegnamento.

L’esaurimento dei due serbatoi di reclutamento, in ogni caso, spiega perché non si riescano a trovare insegnanti abilitati per le assunzioni che servirebbero a coprire i posti vacanti. In altre parole, la crescita delle cattedre libere nasce da una riduzione dell’offerta di docenti che possono aspirare al ruolo.

Incidentalmente, quota 100 non ha molte responsabilità per l’aumento delle cattedre vuote. I pensionamenti di quest’anno, inclusi quelli in virtù della nuova norma, sono circa 36 mila. L’anno scorso, quando quota 100 non c’era, furono solo tremila di meno. La verità è che nella scuola il “tappo” della legge Fornero era già saltato, per effetto di Opzione donna e Ape sociale.

Che succede quando rimangono posti di ruolo vacanti? Si chiamano i supplenti annuali, che occupano la cattedra fino ad agosto o fino a giugno (termine delle attività didattiche). I supplenti oggi provengono in maggioranza dalle graduatorie di istituto per i non abilitati di III fascia oppure dalle cosiddette “messe a disposizione” (Mad), grazie alle quali qualsiasi laureato in una disciplina coerente con la materia di insegnamento può andare in aula. Fino a pochi anni fa un’eccezione, le Mad stanno diventando la norma per molte materie, anzi talvolta si ricorre anche ai non laureati.

Come risolvere il grave divario fra domanda e offerta di insegnanti nella nostra scuola? Nel breve periodo e con le attuali norme, si dovrebbero fare nuovi concorsi ordinari. Il ministro Bussetti ne ha promessi due (uno per l’infanzia e la primaria da 17 mila posti, l’altro per le secondarie da 24 mila). Purtroppo, però, ha annunciato anche due sanatorie che direttamente (con un concorso straordinario riservato da 24 mila posti) o indirettamente (con un Pas, percorso abilitativo straordinario da farsi all’università) porteranno in ruolo migliaia di precari che abbiano insegnato almeno 36 mesi. Il problema è che per questi ultimi, intenzionalmente, il percorso per andare in cattedra non sarà selettivo. E la sola anzianità di servizio (tre anni non sono molti, peraltro) non è un indice di competenza professionale. Lo ripetiamo una volta di più: se si vuole evitare di far sprofondare ancora la qualità dell’insegnamento, queste scorciatoie – un cronico vizio delle politiche scolastiche in Italia – non sono accettabili, anche di fronte a una seria carenza d’insegnanti.

In ogni caso, la soluzione per risolvere la situazione e contemporaneamente fare crescere la qualità dell’insegnamento è di lungo periodo: ridare prestigio alla professione insegnante e attrarvi i giovani laureati più qualificati. Si tratta di una strada percorribile – lo dimostrano paesi come la Finlandia – ma non facile. Sono almeno tre le condizioni necessarie.

La prima è una dura selezione iniziale, perché l’insegnamento richiede forti motivazioni e competenze elevate: non solo disciplinari, ma anche didattiche e relazionali. L’attuale governo sta facendo il contrario, riducendo i requisiti per entrare in ruolo alla sola laurea disciplinare.

La seconda condizione è dare prospettiva di carriera e di crescita retributiva a chi è capace e si impegna in compiti anche organizzativi. Oggi per chi è in cattedra non c’è alcun avanzamento di carriera, solo gradini retributivi per anzianità: così si scoraggiano i giovani più interessati a emergere. E se è vero che le retribuzioni dei nostri docenti sono inferiori alla media Ocse, lo è anche l’orario di lavoro; la vera anomalia è semmai la poca distanza fra retribuzione a inizio e fine carriera, che non ha eguali negli altri paesi.

La terza condizione è obbligare gli insegnanti, una volta in servizio, ad aggiornarsi sul piano disciplinare e ancor più su quello didattico, con esiti verificabili. Ora non è così, nonostante l’obbligatorietà della formazione fosse sancita dalla Buona scuola; il contratto di lavoro l’ha attenuata. E gli effetti si vedono nei dati Invalsi.

Commenti

Roberto 29/07/2019 alle 14:17 Rispondi

Il Veneto vorrebbe regionalizzare l'istruzione. La formazione professionale, già di competenza regionale, non prevede la presenza degli insegnanti di sostegno e l'orario medio settimanale di docenza è di circa 26 ore.

Pierluigi 28/07/2019 alle 0:32 Rispondi

In premessa ricordo all' l'autore migliaia di insegnanti vincitori del Concorso 2016 sono in attesa dell'immissione in ruolo, perché il governo si ostina a non destinare allo scopo TUTTI i posti disponibili. Sono molto d'accordo sulla preventiva selezione attitudinale e sull'aggiornamento obbligatorio verificabile. Sul piano economico priorità al merito (magari reintroducendo quello "distinto") valutanto titoli culturali e partecipazione alla gestione..

Marco Bollettino 26/07/2019 alle 18:39 Rispondi

In realtà c'è anche un altro problema che i concorsi nazionali, ma con vincitori legati alla regione in cui l'hanno svolto, non possono risolvere. Quando si fa il bando del concorso nazionale, si calcolano i posti che si renderanno vacanti e disponibili nel triennio successivo. Questo fa sì che, sulla carta, ci siano X posti in Piemonte, Y, in Lombardia, Z in Campania e così via. Questo calcolo, però, non tiene conto della mobilità. Ogni anno ci sono circa 130.000 docenti che chiedono la mobilità e, in gran parte dei casi, si tratta di un movimento da nord a sud. Meno della metà di questi movimenti vengono soddisfatti ma quei 50.000 circa che riescono a spostarsi vanno in gran parte ad occupare le cattedre disponibili al sud e a liberarne addizionali al nord. Il risultato è che nelle regioni del nord le cattedre realmente disponibili, dopo la mobilità, sono molte più di quelle bandite e al sud, invece, accade il contrario. Infatti, se è vero che in gran parte le Gae e le graduatorie di merito sono esaurite, questo non è assolutamente vero per alcune regioni del sud, dove non scorrono e i vincitori non riescono ad ottenere il ruolo.

Andrea Gavosto 01/08/2019 alle 11:56 Rispondi

Assolutamente corretto, anche se in teoria vige la "ferma triennale", ovvero i docenti che accettano un posto (diciamo al Nord) per tre anni non possono chiedere il trasferimento al Sud. Ma in pratica ci sono state molte deroghe.

Luca Cigolini 26/07/2019 alle 18:23 Rispondi

Ringrazio sempre La Voce quando tiene desta l'attenzione sulla scuola e concordo con buona parte dell'articolo. Ma la mia esperienza ormai quasi trentennale (assunto con concorso ordinario assai selettivo dopo poche esperienze di supplenza) mi porta a due considerazioni. Primo: siamo certi che dare prospettive di carriera in compiti organizzativi possa migliorare l'efficacia dell'insegnamento o rendere questa professione più attraente per bravi insegnanti? Permettetemi di basarmi sull'esperienza personale, anche a rischio di esprimere una posizione soggettiva: io non trovo affatto gratificante la prospettiva di dedicarmi a compiti organizzativi, neppure in cambio di più soldi! Forse apprezzerei invece l'affiancamento ai nuovi docenti, tentando di insegnare ad insegnare; l'ho già fatto in passato, con buoni risultati sul campo ed una mancia ridicolissima come incentivo economico. Secondo: è davvero un luogo comune poco serio il giudizio sull'orario di lavoro, almeno finché non si considera il lavoro sommerso degli insegnanti (di consistenza assai varia per tipo di scuola e per materia insegnata), tentando un calcolo delle ore passate sulla correzione degli scritti (per chi li ha), in colloqui con genitori (pensiamo a chi ha classi numerose) o nella progettazione di attività didattiche non banali, o ancora in tutto quanto serve ad insegnare bene oltre alla presenza di 18 ore settimanali in classe. Credo che economisti e statistici possano tentar l'impresa!

Andrea Gavosto 01/08/2019 alle 12:03 Rispondi

Sul secondo punto. E' vero che il docente che si impegna nella correzione dei compiti, aggiornamento didattico, preparazione delle lezioni) ecc, lavora tanto, molto più dell'orario contrattuale. Il problema è che tutto è lasciato alla volontà individuale, senza nessuna verifica e riconoscimento del maggior impegno.Nessuna organizzazione di queste dimensioni (1 milione di persone) può funzionare basandosi solo sul senso del dovere individuale.

Markus Cirone 26/07/2019 alle 17:04 Rispondi

Al di là dell'insensatezza dei mille canali, continuamente mutevoli, di ingresso in ruolo, rimane un fatto: se ci sono così tanti supplenti, è perché ci sono così tanti posti scoperti. Capisco una quota fisiologica di posti scoperti perché il loro numero è mutevole nel corso degli anni, ma il problema è, semplicemente, che lo Stato non assume tanti docenti quanti dovrebbe.

Giunio Luzzatto 26/07/2019 alle 16:39 Rispondi

Gavosto ha ragione, e le tre condizioni sono necessarie, ma non ancora sufficienti. Aggiungo una Quarta condizione: periodicità annuale nel bando dei concorsi, e rigoroso rispetto di questa. Finora il bando avrebbe dovuto esserci ogni due anni; ma la norma non è mai stata rispettata: ciò è dimostrato dal fatto stesso che il Ministro “annunci” un bando, come se non si trattasse di un adempimento automatico. La cadenza annuale avrebbe un effetto immediato nel minore ricorso alle supplenze, e due effetti altrettanto rilevanti “a regime”. La gestione sarebbe più agevole perché vi sarebbero meno domande. Inoltre, ed è il tema più importante tra tutti, l’annualità potrebbe indurre molti tra i migliori laureati a scegliere l’insegnamento: non vi sono oggi molte opportunità, per un neolaureato anche bravissimo, di accedere a una posizione stabile nel primo anno dal conseguimento del titolo. La debolezza qualitativa (in media) del corpo insegnante dipende anche dal fatto che non è invece attraente passare anni a cercare supplenze nella totale incertezza sul domani! E non è solo il buon senso a dirci che per avere una buona scuola occorrono buoni insegnanti; ricerche internazionali hanno fornito evidenze circa il fatto che, a confronto con tutte le altre variabili che si possono considerare (numero di allievi per classe, disponibilità finanziarie delle scuole, qualità dell’edilizia scolastica) è la qualità dei docenti quella che determina i valori più alti nei risultati degli allievi.

Alessandro 26/07/2019 alle 15:18 Rispondi

1) I dati Invalsi sono (a parere di insegnante) una fotografia parziale della preparazione degli alunni. 2) I resoconti periodici della Fondazione Agnelli (di cui è direttore l'autore dell'articolo) danno medagliette senza tenere conto (lo dicono gli esponenti della fondazione per primi) di numerose concause che contribuiscono al successo formativo. Pertanto la fondazione stessa si dichiara interlocutore privo di sufficiente ampiezza di vedute. 3) Non si può usare un insegnante per anni e poi dire "arrivederci e grazie", il problema sta a monte: evitare che tanti supplenti lavorino per anni da precari. Ogni anno sono piú di 100.000, perchè quei posti non vanno a organico? Perchè nella tavola del precariato ci banchettano troppi attori. Non c'è volontà politica né sindacale. Numeri alla mano i supplenti potrebbero essere molto pochi a vantaggio di docenti a posto fisso selezionati minuziosamente, come giustamente sostiene l'autore. 4) Dopo anni di insegnamento ho cambiato idea: la qualità non si può misurare. Perciò sono contrario a forme di carriera che inacidirebbero la serenità di un lavoro di per sé già a rischio burn-out. Sta ai presidi gestire l'organico in modo che ogni insegnante sia motivato e messo in condizione di dare il massimo. 5) "Esiti verificabili dell'aggiornamento didattico"... non saprei proprio come mettere in pratica questa volontà: qualcuno ha delle idee? Comunque ritengo giusta l'obbligatorietà della formazione permanente.

Davide 26/07/2019 alle 13:55 Rispondi

L'esperto tralascia di menzionare la positiva esperienza di reclutamento avviata da Profumo con i TFA e stroncata da Renzi.

Giudit Cianfa 27/07/2019 alle 11:29 Rispondi

Davvero!! E tralascia di dire che alcuni abilitati TFA entrati in Graduatoria di Merito regionale con il concorso 2018 sono in attesa del ruolo che potrebbe non arrvare pur essendoci i posti disponibil, non si capisce perché.

Dario Palermo 26/07/2019 alle 12:59 Rispondi

L’autore cade nel solito vecchio adagio di quando si parla di Scuola: l’orario troppo breve. E meno male che non parla dei tre mesi di vacanza. Allungare l’orario: facile a dirsi, difficile a farsi e che presuppone un’organizzazione diversa delle scuole, a partire dalle mense, che al sud praticamente non esistono.

Mahmoud 30/07/2019 alle 8:17 Rispondi

E cosa di grazia c'entrerebbe la mensa con l'orario di lavoro? Può essere sostituita con buoni pasti come in ogni moderna realtà che non raggiunge elevate economie di scala.

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