L'Europa sovranista diventerà un fantoccio tra Usa e Russia
- Dettagli
- Categoria: Italia
Trump vuole il nazionalismo europeo per svuotare il blocco commerciale dell'Ue che tratta con lui quasi alla pari. Putin lo vuole per avere una sorta di finlandizzazione, con l’industria del Vecchio continente che lavora in armonia con le materie prime e gli interessi russi.
MARIO MARGIOCCO, 2.7.2018 www.lettera43.it
Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo, diceva il filosofo George Santayana. Voleva frenare l’impeto nuovista dei suoi concittadini americani di inizio 900, convinti di dover reinventare il mondo. Oggi il rischio è di tipo diverso, in particolare in Europa, dove occorre scegliere che cosa salvare di un passato importante. Il nostro mondo non è più quello di ieri. La speranza deve considerare realtà nuove, e affrontarle. I timori di chiusure nazionali, che la Brexit e l’elezione di Donald Trump portavano chiaramente alla luce nel 2016, in due anni non hanno fatto che crescere. L’esito moderatamente positivo del Consiglio Ue sui migranti, nella notte fra il 28 e 29 giugno a Bruxelles, è un tentativo di fermare il declino dell’idea di Europa, ma non basta.
IL RITORNO DI UN NAZIONALISMO MASCHERATO. Si annebbia e allontana l’internazionalismo europeo e atlantico e si afferma il neonazionalismo etichettato come “sovranismo”. Bastava la vecchia parola nazionalismo, che sarà e già è lo sbocco del propedeutico sovranismo. Solo che la parola nazionalismo anche dopo 73 anni ha ancora odore di morte, in Europa almeno, e sovranismo sembra nuovo. Vari segnali indicano che già siamo sul percorso per riportare in auge la congerie di nazioni grandi, medie e piccole destinate purtroppo a reincarnare la caustica definizione del politologo Karl Deutsch (Praga 1912-Boston 1992). Diceva che «una nazione è un gruppo di persone tenute insieme da errori condivisi sulle proprie presunte origini ancestrali e da una condivisa antipatia per i loro vicini».
LA PROPAGANDA DIVISIVA DI TRUMP. Donald Trump ha trovato il modo di trattare male persino Justin Trudeau, primo ministro canadese, capo di una nazione che vive da 150 anni in simbiosi con gli Stati Uniti lungo la più pacifica fra le grandi frontiere del mondo. Trump, per un misto fra ignoranza, calcolo e note caratteriali, da giocatore d’azzardo se ne infischia del passato e raccoglie consensi con atteggiamenti e scelte dal sapore innovatore fra chi ne sa ancora meno, circa il passato. Riesce a gabellargli come nuove fiammanti e tutte di sua invenzione formule vecchie di 140 anni come America First, bandiera del vecchio nazionalismo americano già prima di Theodore Roosevelt. E riceve applausi quando fa rivivere quanto Warren Harding dichiarava nel 1920 seppellendo il magniloquente internazionalismo dei doveri predicato da Woodrow Wilson: farci i fatti nostri e al diavolo con tutto il resto.
I segnali di un’America in disimpegno c’erano da tempo e assai chiari con Barack Obama e sono diventati con Trump filosofia e rotta della dirigenza politica
Sono in troppi, negli Stati Uniti come in Europa, a sapere poco, e non vogliono spesso sapere nulla, di un mondo assai più ordinato e lungimirante creato più di 70 anni fa dai loro bisnonni e nonni e sognato dai loro trisnonni fin dagli Anni 20, il mondo della Pax Americana e dell’Europa del Mec e poi della Ue, e applaudono l’ultimo buffone che sta preparando, in perfetta incoscienza sua e loro, guai assai peggiori di quelli che si pensa stia risolvendo. «Ma a che cosa serve questa Europa? Usciamo», si sente dire in continuazione ai talk show radiofonici, da chi spesso probabilmente non saprebbe spiegare nulla su come funziona “questa Europa”, quando è nata, a opera di chi. Questo è nazionalismo puro, la salvezza nella vecchia e confusa idea di nazione, che è ciò che diceva Deutsch. Usciamo, e poi vediamo come è bella la vita.
L'EUROPA ORFANA DI FUTURO. I segnali di un’America in disimpegno c’erano da tempo e assai chiari con Barack Obama e sono diventati con Trump filosofia e rotta della dirigenza politica, con un ampio revival dello spirito degli Anni 20. Potranno venire attenuati, ma difficilmente il successore farà davvero marcia indietro. Alcune cose col tempo sono inevitabili. Non era inevitabile esasperarle per far finta di avere una strategia vincente. Profondamente turbati o affascinati ormai 30 anni fa dalla fine dell’Impero sovietico, ci troviamo oggi di fronte a un’Europa in rapida evoluzione verso l’ignoto. Come il mondo comunista, anche se con assai maggiori opzioni rimaste, siamo rimasti orfani di futuro.
L'EGOISMO DELLA GERMANIA. Con il ritiro degli Stati Uniti viene a mancare, e si sentirà in modo chiaro sul piano finanziario e monetario alla prima grave crisi sistemica, il “benevolo egemone” che nei momenti difficili coordina gli interventi e svolge il ruolo di garante di ultima istanza. Si può ricreare questo ruolo su scala regionale europea, ma non può che essere la Germania a svolgerlo. Ma in Germania, dopo due o meglio tre (il primo fu Bismarck) tentativi violenti di egemonia continentale c’è molta resistenza, si vogliono i vantaggi, che sono stati enormi, dell’equilibrio regionale ma non o non abbastanza le responsabilità.
UE, GIGANTE ECONOMICO E NANO DIPLOMATICO. Come dice l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer, la Germania tace sul futuro, suo e dell’Europa, pensa solo ai suoi soldi, la sua politica europea è ostaggio dei peones contabili («i conta fagioli») della Commissione Bilancio del Bundestag. Non ci sono più garanzie difensive, Trump vuol far saltare il sistema commerciale organizzato che dagli Anni 50 ha visto la Germania fra i massimi beneficiati, l’Europa resta un gigante economico, nano diplomatico e verme militare non lontanissima da una Russia che è gigante militare, ha un peso diplomatico, e resta un nano (ha lo stesso Pil dell’Italia, ma per lei è poca cosa) economico. Ma la Germania, conclude Fischer, non si muove.
Quando la Russia eserciterà il peso militare per cercare di uscire dal nanismo economico? Trump vuole il nazionalismo europeo, l’Europa delle piccole nazioni, per svuotare un blocco commerciale Ue che tratta con lui quasi alla pari. Putin lo vuole per avere una sorta di finlandizzazione, che era poi il vecchio schema sovietico del 1945 quando arrivarono vincitori nel cuore dell’Europa, con l’industria Ue che lavora in armonia con le materie prime e gli interessi russi. Non sbagliato, se ciascuno resta padrone a casa propria. E non si flettono muscoli militari, che l’Europa a suo rischio non ha. C’è la Nato. Ma con questa America, quanto durerà la Nato?
L'INCOGNITA DEL VOTO NEL 2019. C’è anche altro, sulla scena attuale, in un’Europa che deve affrontare contemporaneamente due sfide esterne grandiose. L’immigrazione, soprattutto quella africana legata a un boom demografico di proporzioni bibliche, dai 500 milioni ancora nel 1960 a oltre 2,5 miliardi attorno al 2050. E l’Islam, anch’esso in forte espansione demografica e soprattutto in tenace assertività cultural-fideistica, per non dire altro. Coniugati con l’impoverimento relativo di varie popolazioni europee, questi fenomeni spiegano in parte almeno l’indurimento della Baviera, i problemi della Merkel, il successo di Salvini in Italia, e un voto europeo del maggio 2019 che resta un gigantesco sondaggio di opinione dalle gravi incognite.
IL LATO DEBOLE DEL SOVRANISMO. Il nuovo spaventa. La paura pesa sulla politica. La Russia a cui molti leader “nuovi” guardano con simpatia, a partire dal nostro Matteo Salvini, ha una sua linea. Mosca finanzia i populisti, e contro i “barbari” invasori promette valori comuni “eurasiatici” nel senso di patrimonio dell’Eurasia, e una grande intesa da Lisbona a Vladivostok. Dopo la Pax Americana la Pax moscovita, cristiana e non più comunista. Ma ci piacerà? «Questo Paese è assurdo con la sua sentimentale riverenza per la libertà individuale», diceva Mr. Vladimir segretario dell’ambasciata zarista a Londra dando istruzioni «con i suoi toni gutturali da Asia Centrale» per un po’ di attentati capaci di spaventare i borghesi di Sua Maestà. Eravamo a inizio Novecento ne L’agente segreto di Joseph Conrad. Molto è cambiato da allora, ma non sempre cambiano le logiche delle grandi nazioni. Alle piccole e medie potenze europee conviene davvero ridiventare in pieno “sovrane”? E di che, della propria solitudine?
© RIPRODUZIONE RISERVATA