Come mai i mercati finanziari si sono imbizzarriti sull'Italia?
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Fino a un certo periodo, nei confronti dell'Italia, il sistema economico comunitario e internazionale era stato tranquillo ed equilibrato
di Pierluigi Magnaschi, 31.5.2018 www.italiaoggi.it
La situazione economica complessiva dell'Italia è da tempo nota e non è assolutamente cambiata negli ultimi mesi quando i mercati finanziari erano tranquilli nel valutare la tenuta dei conti italiani. Tant'è che, negli ultimi mesi, la borsa era in costante ascesa, lo spread rimaneva tranquillo e stabile, il pil cresceva, aumentava l'export e cresceva persino l'occupazione, che resta un indicatore di tenuta sociale molto significativo. Le elezioni di quasi tre mesi fa, soprattutto nel loro esito finale (la larga vittoria dei due partiti antisistema, come l'M5s e la Lega) avrebbero dovuto generare una fibrillazione dei mercati che, come si sa, in condizione di incertezza, tendono a dare corpo anche alle ombre. Gli elementi di preoccupazione erano stati ingigantiti, oltre che dai risultati elettorali (certamente non favorevoli al mercato e alle sue compatibilità) anche dal contratto che M5s e Lega avevano successivamente stilato. Questo contratto, per le spese che avrebbe comportato affinché potesse essere realizzato, avrebbe sicuramente provocato uno sfondamento insostenibile dei conti pubblici.
Ma il sistema economico e istituzionale europeo e internazionale, che non era stato allarmato dal clamoroso successo elettorale di entrambi i partiti anti-sistema e anti-europeisti italiani, e che era stato a guardare, senza sollevare ciglio, il preoccupante conto della spesa relativo alla realizzazione del cosiddetto contratto sottoscritto da Di Maio e Salvini, ha dato improvvisamente fuori di matto solo in questi ultimi dieci giorni, deprimendo i costi di borsa, facendo scattare lo spread e provocando le uscite estemporanee di alcuni facinorosi appartenenti all'alta tecnostruttura comunitaria.
Fino a dieci giorni fa, nei confronti dell'Italia, il sistema economico comunitario e internazionale era stato tranquillo ed equilibrato (fin troppo, si potrebbe dire). Ed era stata tranquilla anche la grande stampa internazionale (e soprattutto quella di lingua inglese, ma a lettura planetaria, che costruisce o disfa, ogni giorno, il sentiment dei mercati, cioè soprattutto il Financial Times e il Wall Street Journal). Ai tempi dei governi Berlusconi invece, questi giornali (ai quali si aggiungeva anche un The Economist che aveva perso la bussola nella versione particolarmente isterica impostagli dall'allora direttore Bill Emmott), questi giornali, dicevo, si erano scatenati contro l'Italia, pubblicando notizie false o esagerate, seminando ipotesi da tregenda, annunciando lo sfarinamento economico del Paese.
Invece, dopo le ultime elezioni politiche, i giornali politico-finanziari di lingua inglese ai quali abbiamo poc'anzi accennato hanno imprevedibilmente adottato un profilo basso e non astioso nel raccontare (e giudicare) le vicende politiche ed economiche italiane. In particolare, il Financial Times (FT) che, quando analizzava l'economia e la politica italiana, ha sempre usato l'amato scudiscio dei vecchi colonizzatori inglesi in India, questa volta si è mosso esemplarmente. FT infatti ha detto, in sostanza: l'Italia non è adesso il solito baraccone estemporaneo tipo il Paese dei balocchi che abbiamo descritto più volte in passato ma è una nazione che si è purtroppo inserita in una nouvelle vague che però è planetaria, quella del populismo.
Il successo dei pentastellati e dei leghisti in Italia, ha scritto FT, non è infatti un fenomeno tricolore ma un trend internazionale che riguarda tutte le nazioni democratiche economicamente sviluppate. Esso è stato preceduto dal referendum nel Regno Unito che sta determinando la Brexit; dall'imprevisto successo di Donald Trump negli Stati Uniti; dal rischiato insediamento all'Eliseo dell'estrema destra nazionalista e populista di Marine Le Pen (che non è avvenuto solo perché in Francia vige il ballottaggio); dalla crescita un tempo imprevedibile e oggi impetuosa dell'estrema destra tedesca e in particolare dell'Afd. Insomma per FT la vittoria dei populisti in Italia non era particolarmente preoccupante perché si inseriva nel trend di molti altri importanti paesi.
Come mai, allora, alla sostanziale bonaccia dei primi 75 giorni dalle elezioni politiche in Italia, ha fatto improvvisamente seguito la bufera degli ultimi dieci giorni? Qual è stato il nuovo effetto scatenante? Innestiamo la moviola per vedere, al ralenti, che cosa è successo. L'evento scatenante (perché questo è stato il solo fatto nuovo) è consistito prima nella resistenza e poi nel rifiuto, da parte del presidente Sergio Mattarella, di avallare la candidatura di Paolo Savona alla carica di ministro dell'economia. L'irrigidimento del presidente della Repubblica italiana (che ha anche ceduto, e non è un mistero, alle pressioni tedesche e di certi ambienti comunitari) ha determinato, immediatamente, un corto circuito mediatico che il Quirinale ha fatto male prima a non prevedere e poi a non neutralizzare.
Il messaggio che veniva desunto dai comportamenti del Colle era: se Mattarella, dopo aver gestito stoicamente 75 giorni di trattative logoranti con Di Maio e Salvini, si impunta sul nome di Paolo Savona ed è disposto (com'è poi successo) a gettare addirittura all'aria, su questo nome, tutto il lavoro di paziente tessitura con i due partiti che, assieme, hanno la maggioranza assoluta nel paese e nel parlamento, vuol dire che questo Paolo Savona è proprio il pericolo assoluto per l'Unione Europea.
Che questo convincimento non fosse vero lo sapevano perfettamente coloro che conoscevano la carriera, le attività, l'insegnamento e le opere di Paolo Savona (che a Mattarella e all'autorevole stuolo di suoi collaboratori non debbono certo essere sconosciute), ma i mercati non leggono i libri, bensì reagiscono alle notizie. E la notizia era che Mattarella era così preoccupato dal pericolo rappresentato per l'Europa dal ministro Savona che, per sventarlo, era disposto a gettare all'aria tutto. Che Savona non fosse un rischio ma una risorsa lo spiega perfettamente Tino Oldani a pag. 6 di questo stesso numero di ItaliaOggi. Che l'ex ministro del governo Ciampi (nonché braccio destro di Guido Carli e di Paolo Baffi in Bankitalia) si battesse per il rafforzamento e non per l'indebolimento dell'Europa unita, che senza i provvedimenti suggeriti da Savona rischia sul serio il dissolvimento, lo spiega efficacemente, a pag. 7, il professor Paolo Annoni.
Il presidente Mattarella, per bypassare l'ostacolo del licenziamento di Savona, aveva fatto sapere a Salvini che, per la posizione di ministro dell'economia, avrebbe sicuramente approvato la candidatura di Giancarlo Giorgetti, il bravo collaboratore del segretario della Lega. Ma era stato proprio Giorgetti (che è politicamente molto preparato) che aveva suggerito la scelta di Paolo Savona perché, come aveva lui stesso detto in tv, a Bersaglio mobile di Enrico Mentana, «non si sentiva tecnicamente preparato per andare a Bruxelles a trattare nell'interesse dell'Italia». Chapeau. Quindi non erano le idee e i programmi di Paolo Savona che preoccupavano il Quirinale (e hanno fatto scartare questo illustre cattedratico) ma la capacità di Savona di tenere testa alla tecnostruttura tedesca che vuole il potere sull'Europa intera anche se non vuol definire e condividere il progetto comunitario con gli altri paesi.
Pierluigi Magnaschi