Postelezioni. È nata la legislatura di Salvini, ma adesso è lui quello che rischia di più di tutti

Ha vinto il braccio di ferro contro Berlusconi e sta portando il centro destra dove vuole lui, ad allearsi con Di Maio e i Cinque Stelle per il tempo utile a cambiare la legge elettorale. Una sfida difficile, soprattutto perché ora che ha vinto chiunque cercherà di farlo cadere: come con Renzi

di Francesco Cancellato 25 Marzo 2018 - 08:01 www.linkiesta.it

Non ha vinto nessuno, ieri alla Camera e al Senato, dove sono stati eletti i presidenti Raffaele Fico, del Movimento Cinque Stelle, ed Elisabetta Alberti Casellati, di Forza Italia. Al contrario, tutti, in misura diversa, hanno cominciato a perdere qualcosa, nel contesto di una legislatura che, a partire da oggi, ha un finale inevitabile: la distruzione degli assetti politici antecedenti al 4 marzo.

Il Movimento Cinque Stelle, tanto per cominciare, ha perso la sua verginità. L’ha persa turandosi il naso, come ha detto la senatrice Barbara Lezzi, votando una turbo-berlusconiana come Elisabetta Alberti Casellati, iscritta a Forza Italia dal 1994, architetto delle leggi “ad personam” del Cavaliere nella sfida contro le “toghe rosse”, chiacchierata, ai tempi, per l’assunzione della figlia, manager di Publitalia, alla segreteria del Ministero della Salute, quando era sottosegretario. Nei fatti, il Movimento Cinque Stelle è nato per combattere gente come lei, e il suo modo di intendere la politica. Ieri, lo stesso Movimento l’ha assurta a seconda carica dello Stato.

Il Partito Democratico, invece, ha perso ogni centralità, preso in una sindrome di autoflagellazione che ha qualcosa di patologico. Non siamo d’accordo con chi ritiene che ieri, nel mezzo della crisi tra Forza Italia, Lega e Cinque Stelle, i democratici avrebbero potuto piazzare il loro presidente. A posteriori, era tutta ammuina. E se ci avessero provato ora saremmo qui a commentare l’ennesima figuraccia. Però va detto anche che allo stato attuale non ci sono ragioni che giustifichino l’esistenza del Pd, e che il Pd stesso sembra non volerne dare. Assente, irrilevante, incapace di dire alcunché se non “abbiamo perso” e “la gente ci odia”. Inerme nel subire il fuoco amico di Giorgio Napolitano, contro cui qualcuno avrebbe dovuto avere il coraggio di dire qualcosa. C’è un popolo di sette milioni di elettori - quel 18% che ci ha creduto, mentre tutti abbandonavano la nave - che anche solo uno scatto l’orgoglio, di fronte ai primi pasticci dei vincitori delle elezioni, se lo aspetterebbe.

È lui quello che sta rischiando la pelle più di tutti: perché anziché incardinare gli assetti della Terza Repubblica in un bipolarismo contro Di Maio sta cercando di costruire qualcosa assieme al giovane leader dei Cinque Stelle, scommettendo sulla sua inesperienza, sullo stato comatoso del Pd e sulla crisi di Forza Italia

Ha perso Forza Italia, e questo è autoevidente. La decisione di Renato Brunetta di rinunciare al ruolo di capogruppo e le accuse dirette e violente di Paolo Romani vanno oltre la sconfitta: a morire, ieri, è stata la leadership di Berlusconi. Poco importa sia riuscito a portare a casa la seconda carica dello Stato dopo una cocente sconfitta elettorale: le cronache consegnano una trattativa in cui Matteo Salvini l’ha portato a scuola di tattica politica, facendolo passare per un vecchietto viziato e irresponsabile. E nel contempo, forzandolo a un accordo istituzionale - per ora - con chi nemmeno lo vuole incontrare, manco fosse un appestato. Se conosciamo il Cavaliere starà schiumando rabbia e desiderio di vendetta. Avrà la forza di passare dal pensiero ai fatti?

Ha perso pure la Lega di Matteo Salvini, sebbene tutte le evidenze dicano il contrario. Ieri, il giovane leader del Carroccio ha levato la maschera del populista indossata negli ultimi cinque anni e ha mostrato a tutti la sua vera (o la sua nuova?) natura: quella del baricentro indispensabile di questa nuova fase politica. È lui che si è preso in carico l’onere di dare un senso a questa legislatura, traghettando il centrodestra unito verso l’alleanza programmatica coi Cinque Stelle. È lui quello che sta rischiando la pelle più di tutti: perché anziché incardinare gli assetti della Terza Repubblica in un bipolarismo contro Di Maio sta cercando di costruire qualcosa assieme al giovane leader dei Cinque Stelle, scommettendo sulla sua inesperienza, sullo stato comatoso del Pd e sulla crisi di Forza Italia. L’obiettivo appare chiaro: stare al governo il meno possibile, cambiare la legge elettorale e tornare al voto con la speranza di crescere ancora e andare a Palazzo Chigi da solo. Altrettanto chiaro è l’altissimo coefficiente di difficoltà di questa sfida. Dovesse riuscirci, Salvini avrebbe stravinto la sua battaglia. Al contrario, sarebbe il vero sconfitto della diciottesima legislatura, come Renzi lo è stato della diciassettesima. Il pericolo più grande si corre nell'ora della vittoria, diceva Napoleone. Ecco.

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