Sull'Europa Salvini impari dal M5s, smetta di parlarne
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Il leader leghista le spara così grosse da ipotecarsi non solo la mai esistita possibilità di guidare un governo, ma forse anche quella di avere un ministero di peso.
MARIO MARGIOCCO, 29.1.2018 www.lettera43.it
Un Paese che presenta aspiranti capi di governo Luigi Di Maio e Matteo Salvini ha seri problemi di credibilità. Comunque non c’è solo l’Italia, basti pensare a Boris Johnson o, fuori Europa, a Donald Trump. Come al solito però, da noi si fa “di più”. Dei nostri due, uno ha la bacchetta magica, soluzioni facili e dinero para todos, i soldi «li troveremo» come ha sempre detto il padre nobile Beppe Grillo, oggi peraltro prudentemente defilato da quel vero marpione che è. L’altro assicura che basta mandare l’Europa a farsi f…re e l’Italia farà miracoli. Gli scriteriati osano tutto, ed è proprio da questo che si fanno riconoscere, diceva Michel Audiard, sceneggiatore e regista francese e soprattutto battutista di fama. Usava un termine più crudo di “scriteriati”.
IL LEADER DELLA LEGA IN CRISI DA QUALCHE SETTIMANA. Sulla modesta credibilità di Di Maio, proiettato dal men che nulla a una carriera più rapida di quella di Napoleone I, abbiamo già detto. Napoleone comunque aveva fatto e completato la scuola di artiglieria, vinto famose battaglie, annientato il Piemonte e la tremebonda Repubblica genovese, cacciato gli austriaci dall’Italia settentrionale, chiuso più di mille anni di indipendenza di Venezia e minacciato la stessa Vienna prima di arrivare trentenne, l’età di Di Maio, al potere. Matteo Salvini forse avrebbe avuto qualche opportunità per soddisfare le sue ambizioni governative se a un certo punto, tre o quattro mesi fa almeno, avesse smesso di essere... Matteo Salvini. È riuscito a resuscitare la Lega dopo l’abisso degli scandali bossiani, puntando e alimentando le paure suscitate dall’immigrazione. Aiutato da una politica governativa che per un paio d’anni sembrava dichiarare di fatto, e a volte anche in teoria, che l’Italia non controllava più le sue frontiere marittime, errore madornale che confondeva tra accoglienza e sovranità.
Quando però Salvini parla dell’Europa molte possibilità arretrano o svaniscono. Il leader leghista le spara così grosse da ipotecarsi non solo la mai esistita possibilità di guidare un governo, ma forse anche quella di avere un ministero di peso. Qualsiasi governo dell'Ue può avere ministri molto critici verso Bruxelles, ma è altra cosa un capo dicastero sistematicamente anti europeo, anti euro e per l’uscita dalla moneta comune. A metà settimana scorsa ha detto che il vincolo del 3% di deficit, 3% sul Pil di sforamento massimo annuale dei conti pubblici, «per noi non esiste» se «danneggia le imprese e le famiglie italiane». Il 3% non è un feticcio, è una regola per tenere sotto controllo il debito, ma superarlo non è politicamente facile per l’Italia che ha una storia ventennale di debito eccessivo. Salvini ribalta il discorso: è l’euro che ci ha ridotto così. Invoca la spesa come toccasana e ne fa una questione di indipendenza nazionale.
GIOCA A FARE IL NAZIONALISTA. Il capo del Carroccio gioca in modo forte la carta nazionalista, cioè l’appello a sentimenti primordiali, in una realtà come quella europea che all’ipernazionalismo ha pagato nel tempo prezzi altissimi. E la gioca anche con il secondo punto sul quale ha insistito nei giorni scorsi, facendo notevole confusione: là dove ha invocato come rivendicazione nazionalista la «prevalenza della Costituzione sul diritto comunitario», peraltro citata nel programma comune del centrodestra. È una formula che non ha molto senso perché le Costituzioni si occupano dei principi fondamentali e il Diritto comunitario dei Trattati, e comunque dal 1951 l’art. 11 della nostra Carta prevede, a certe condizioni e in particolare per i fini del concerto europeo, la cessione di sovranità.
Salvini ha voluto copiare, distorcendola, la posizione tedesca, dove la Corte suprema di Karlsruhe, quando richiesta, esamina le scelte Ue e, soprattutto, della Corte europea del Lussemburgo, alla luce della Grundgesetz, la Costituzione tedesca. Finora tutto è risultato compatibile. L’esame inoltre è fatto nell’ambito del Gerichtsverbund, lo spirito di collaborazione fra magistrature sorelle, e nel rispetto dichiarato della piena legittimità democratica della scelta europea del popolo tedesco. Chiaramente le minacce costituzionali della Lega di Salvini hanno un altro tono.
BORGHI LE SPARA PIU GROSSE DEL CAPO. Aspettiamo poi un mese di campagna elettorale del suo esperto di economia Claudio Borghi Aquilini, candidato a Siena, che le spara ancora più grosse e che ha vantato il merito di essere stato lui medesimo a introdurre nel programma del centrodestra la clausola costituzionale di cui sopra. Borghi poi si vede già, insieme al professor Alberto Bagnai, eurocritico anzi criminologo dell’euro, al tavolo di Bruxelles a recuperare indipendenza nazionale. Loro sì che saprebbero difendere l’interesse dell’Italia. Cambiare i Trattati! E chi lo farebbe per l’Italia, Borghi Aquilini? E se ci rispondono picche che si fa, entra in campo Salvini medesimo?
Il clima generale non è più quello neonazionalista che sembrava vincente nel 2016 soprattutto dopo il voto pro Brexit in Gran Bretagna a giugno e, in parte, la vittoria di Trump a novembre
Se la Ue proprio non vi piace prego, accomodatevi, sarebbe abbastanza presto la risposta dei partner che, non bisogna dimenticarlo, non erano proprio convinti 25 anni fa dell’opportunità di avere anche l’Italia nell’euro. Non sono esattamente degli amiconi, nessuno lo è nei rapporti fra Stati, sono dei volponi piuttosto, traggono vari vantaggi dagli ondeggiamenti italiani e sanno benissimo che un’Italia sganciata da Bruxelles sarebbe ben più di adesso terra di conquista. Ma Borghi, Bagnai, e Salvini soprattutto, si sono mai chiesti come mai la povera Grecia ha preferito comunque restare nell’euro? E pensano forse che Spagna e Portogallo non farebbero altrettanto?
SEGUIRE LA LE PEN SUL FRONTE NEONAZIONALISTA, UN ERRORE. Anche gli argentini hanno detto più volte che era colpa dell’universo mondo se il peso si scioglieva nel Rio de la Plata, come farebbe nel Tevere e nel Po la lira salviniana tornata moneta nazionale. Salvini farebbe meglio a stare zitto sull’Europa, i grillini lo hanno capito si direbbe. Il clima generale non è più quello neonazionalista che sembrava vincente nel 2016 soprattutto dopo il voto pro Brexit in Gran Bretagna a giugno e, in parte, la vittoria di Trump a novembre. La Brexit è un rompicapo e traballa, per ora, e la sconfitta in Francia tra aprile e giugno del Front National ha cambiato il quadro. Trump c’è e probabilmente resiste, ma non ispira, diciamo.
Marine Le Pen , grande alleata mesi fa di Salvini, deve ricalibrare la sue ambizioni presidenziali fra cinque anni, in politica un’eternità. Inoltre, arrivata nelle Legislative del giugno scorso con 122 candidati in lizza al secondo turno, ne è uscita con otto deputati alla Camera. L’Europa di Bruxelles non entusiasma, in Francia forse meno ancora che in Italia, ma è meglio tenersela, è il responso. Il leader leghista sta tappezzando l’Italia di manifesti con “Salvini premier”, ma l’antieuropeismo viscerale e la nostalgia della lira difficilmente pagheranno. Se vuole, il segretario metta un banchetto a Milano, alla stazione Garibaldi per esempio, dove transitano molti brianzoli che di senso degli affari e del risparmio sono ben dotati. Inauguri una prevendita delle nuove lire in cambio di euro. Una sorta di prelazione, con piccolo premio magari, per quando la sua politica finalmente ci porterà fuori dall’odiata Europa “tedesca” e riavremo l’amata liretta. E vedremo se al banchetto ci sarà la coda