La diarchia politica franco-tedesca sull'Europa si sta radicando anche nel mondo degli economisti. Che sfornano nuove regole contro l'Italia

Che un simile argomento sia del tutto ignorato nella campagna elettorale, è solo l'ennesima prova del livello infimo della nostra classe politica, e per certi aspetti del mondo culturale sottostante, ammesso che ve ne sia uno

 di Tino Oldani 24.1.2018 www.italiaoggi.it

«Si può ancora definire Unione europea un posto dove due soli Paesi decidono per ventisette?». Così recitava il titolo dell'editoriale firmato venerdì scorso dal direttore Pierluigi Magnaschi. Tema quanto mai attuale, visto che è in programma un vertice franco-tedesco in cui, secondo i bene informati, saranno gettate le basi di una cosiddetta rifondazione dell'Unione europea. E poiché queste basi sono tuttora segrete, sostiene Magnaschi, «resta la sostanza che le redini dell'Europa rimangono saldamente in mano a due Paesi (Germania e Francia), che sono risoluti nel volere continuare a esercitare questa ferrea egemonia alto-burocratica sul vecchio continente». Analisi impietosa, quanto corretta.

Che un simile argomento sia del tutto ignorato nella campagna elettorale, è solo l'ennesima prova del livello infimo della nostra classe politica, e per certi aspetti del mondo culturale sottostante, ammesso che ve ne sia uno. Se il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera Angela Merkel possono permettersi di fare ciò che vogliono in Europa, proteggendo al meglio l'interesse dei loro Paesi, ciò si deve anche al fatto che la diarchia egemonica franco-tedesca non è soltanto un fatto politico assodato, ma ha ormai pervaso anche il mondo della cultura dei loro Paesi, che sui temi di fondo dell'Europa non esita a scendere in campo, per dare suggerimenti e coperture ai rispettivi leader politici.

Un esempio? Prendiamo il documento per la riforma dell'eurozona, presentato pochi giorni fa a Berlino e firmato da 14 economisti francesi e tedeschi. Anche se formalmente si dichiarano indipendenti, i 14 economisti sono tutt'altro che estranei al mondo politico: tra essi vi sono l'ex direttore del ministero dell'Economia, Jeromin Zettelmeyer (vicino alla Spd) e due membri del consiglio degli esperti nominati dal governo (Isabel Schnabel e Lars Feld) per la parte tedesca, mentre per quella francese vi sono Jean Pisani-Ferry, coordinatore del programma economico di Macron durante la campagna presidenziale, e Agnès Benassy-Quéré, che collabora con il premier francese. Ovviamente, se economisti di questo calibro firmano un documento per proporre dei cambiamenti nella governance dell'euro, con ricadute di carattere fiscale e finanziario sui singoli Paesi dell'area euro, si può stare certi che, prima o poi, Macron e la Merkel li faranno propri, e li imporranno al resto dell'eurozona.

E l'Italia? Muta e assente. Sulla carta, è la terza economia dell'eurozona, ma nessuno a Berlino e a Parigi ha ritenuto opportuno coinvolgerla, né sul piano politico, né su quello culturale. Così, mentre la Banca d'Italia, un tempo fucina di valenti economisti, tace, e altrettanto fanno il Tesoro e i suoi consulenti, il documento franco-tedesco propone nuove regole sull'euro che hanno tutta l'aria di colpire proprio l'Italia. Vi si afferma, per esempio, che il possesso di grandi quantità di titoli di Stato da parte delle banche costituisce una minaccia rilevante all'unione monetaria e un ostacolo alla condivisione del rischio a mezzo di strumenti di mercato. Guarda caso, questa è proprio la situazione in cui si trovano le banche italiane, imbottite di titoli di Stato. Ragion per cui i tedeschi non vogliono sentire parlare di condivisione dei rischi con altri paesi né di eurobond.

Ma siccome i francesi vorrebbero fugare questi timori tedeschi e arrivare, con gradualità, alla creazione di un «eurobond sintetico», basato su un paniere di titoli di Stato nazionali, ecco che il documento propone (in pratica, ordina) di ridurre la concentrazione dei titoli di Stato in portafoglio alle banche, imponendo aumenti di capitale a chi sfora i limiti. Non solo. Chi supera i limiti, dovrà emettere titoli di Stato «subordinati», più costosi e rischiosi di quelli ordinari. In questo modo, si augurano i francesi, si aprirebbe la strada a una sorta di assicurazione comunitaria sui depositi, superando le resistenze di Berlino.

In pratica, un compromesso tra i falchi tedeschi del rigore e i teorici francesi degli eurobond. Di fatto, il programma della prossima legislatura Ue.

Inutile dire che l'avvento di simili regole per la governance dell'euro sarebbe un'autentica rivoluzione per le banche italiane (i cui bilanci verrebbero messi a durissima prova) e per il mercato dei titoli di Stato, con inevitabili riflessi non solo sulle capacità di spesa dello Stato italiano, ma anche sui conti di milioni di risparmiatori. Ma questo, in Italia, sembra che non interessi a nessuno, né ai politici impegnati in campagna elettorale, né ai loro consiglieri economici. E quei pochi che, tra una promessa e l'altra di maggiore spesa pubblica, citano di sguincio l'Europa, lo fanno per dire che chiederanno di riscrivere i trattati Ue. La solita illusione, ma sarebbe meglio dire figuraccia, di chi corre a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati.

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