Perché adesso la bomba dell'M5s è molto difficile da disinnescare
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Il primo ingrediente che è stato a lungo sottovalutato è che il M5s è un partito autoritario, se si teme di esagerare usando il termine dittatoriale che pure gli si attiene.
di Pierluigi Magnaschi, 5.1.2018 www.italiaoggi.it
La bomba del M5s è diventata troppo grossa per essere disinnescata facilmente. Anche se sarebbe necessario cercare di neutralizzarla mentre invece aumenta il numero di coloro (anche insospettabili) che si apprestano a cavalcarla. Per cercare di capire che cosa si dovrebbe fare è necessario analizzare le ragioni (sinora sottovalutate dagli altri partiti e dagli analisti politici spaesati nel confrontarsi con il nuovo che non hanno mai visto prima) le ragioni, dicevo, in base alle quali una slavina politica che poteva essere contenuta, a suo tempo, si sia trasformata in una valanga di proporzioni gigantesche che adesso rischia di travolgere l'intero paese.
Il primo ingrediente che è stato a lungo sottovalutato (e che continua ad esserlo ancor oggi, anche da parte di persone che dovrebbero capirlo facilmente) è che il M5s è un partito autoritario, se si teme di esagerare usando il termine dittatoriale che pure gli si attiene.
È nato infatti come uno strumento in mano a due sole persone (Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio) che lo hanno gestito come se fosse un loro attrezzo di cui potevano fare quel che volevano, senza nessuno dei vincoli che incombono sugli altri partiti i quali non possono rovesciare, nel corso di una cena, la loro linea politica, senza doverne rendere conto a nessuno. Basti pensare che la carriera saggistica di Grillo è cominciata nei teatri dove mandava in frantumi i computer, allora definiti, dal comico genovese, come strumento del demonio ed è approdato a un movimento nel quale il computer è (o loro dicono sia) l'ingrediente basilare e fondante.
Che dire, a proposito di giravolte epocali decise davanti a una pizza, del fatto che, per il vertice dei grillini, sarebbe bastato un avviso di garanzia per doversi dimettere «senza se e senza ma» mentre, adesso, ad esempio, il sindaco pentastellato di Roma, Virgina Raggi, sopravvive anche a un rinvio a giudizio? Dicevano che avrebbero aperto il Parlamento come un scatoletta di tonno mentre oggi Gigino Di Maio è addirittura il compunto vicepresidente della Camera. Escludevano che la politica potesse essere una carriera e prevedevano che tutti gli incarichi durassero poche mesi e fossero a rotazione. Adesso hanno la loro brava nomenclatura che, superato, non il trimestre, ma l'intera legislatura, si appresta a stazionare anche nella prossima. Il sindaco di Pomezia intanto intende candidarsi per la terza volta. Senza fare nemmeno un plissè, come diceva Jannacci.
Inoltre, mentre nel 2013 l'M5s spernacchiava in pubblico Bersani che si proponeva di corteggiarli (e in quell'orribile, per lui, streaming, si arenò per sempre la carriera politica dello statista di Bettola che, sino a quel punto, era considerata inarrestabile, fino al Colle) adesso l'M5s accetta con sussiego le offerte di Salvini e di Grasso. Inoltre Federica Salsi, la consigliere bolognese del M5s che aveva partecipato a Ballarò, venne espulsa su due piedi perché, disse Grillo, con il suo linguaggio cauto e sorvegliato «bisogna applicare pene severissime a coloro che vanno a cercare il loro punto G, quello che dà l'orgasmo, nei salotti tv». Adesso invece gli esponenti M5s sono più folti nel talk show che non le zanzare nelle risaie lodigiane d'estate.
La prima conclusione è che gli altri partiti (per quanto personali e disinvolti siano diventati anch'essi, nel frattempo) non si prestano a essere guidati come se fossero dei go kart, docili a qualsiasi sterzata, anche sopra i cordoli e persino contromano. Il M5s, ad esempio, era da sempre favorevole all'applicazione rapida dello ius soli. Ma quando dai sondaggi ha appreso che la maggioranza degli italiani non lo voleva e che questo rifiuto stava addirittura impennandosi, si è sganciato dall'impegno che era stato solennemente assunto e ha lasciato in braghe di tela e col cerino in mano sia il Pd che LeU, esposti, sotto gli occhi di tutti, nella loro visibile impotenza e imprevidenza.
È difficile competere, da parte dei partiti tradizionali, con una forza politica che non ha vincoli, statuti veri, congressi, correnti, appetiti diffusi, cupole, e può inseguire (o precedere) l'opinione pubblica come meglio crede.
Basti pensare che il M5s proponeva di sciogliere l'orrendo euro come un gelato al sole mentre adesso, dopo averci pensato meglio, non ne parla più e prima delle elezioni potrebbe dire che gli è sempre piaciuto tanto.
Ma il vero punto di forza del M5s è che esso opera in un panorama politico che, anche sociologicamente, è stato disastrato da tutti gli altri partiti negli ultimi trent'anni. In questo arco di tempo, tutto è cambiato profondamente ma loro continuano con le loro litanie incomprensibili, il loro linguaggio contorto, le loro scaramucce disperanti, il loro approccio bizantino, i loro rinvii compulsivi, le loro clientele insaziabili. Decidono nulla perché hanno paura di tutto. Grillo invece (che pure non ha nulla da dire; e quel poco che dice, e si capisce, è pericoloso) da uomo di comunicazione (non soporifero come un giornalista ma elettrizzante come un guitto) sa mettersi in comunicazione con la gente, vellicandone i furori.
Grillo inoltre, oltre a essere un saltimbanco, ha anche il senso della metrica comunicazionale e quindi anche politica. Non si trova a suo agio nelle case del popolo o nelle sacrestie (che, anche se non ci sono più, agiscono ancora) ma sul calcinculo delle sagre, sui teatri di periferia. Ad esempio, mentre gli altri leader si ripetono come dei cucù svizzeri e non cambiano mai spartito diventando prevedibili come certe pubblicità, Grillo cambia spesso il suo canovaccio. Adesso, ad esempio, dopo aver a lungo e insistentemente spopolato dovunque, sta zitto. Sembra essere andato in letargo come le marmotte. Evidentemente non vuole arrivare sciupato alle giornate elettorali di marzo in occasione delle quali salterà fuori di nuovo come un misirizzi, sprizzando indignazione da tutti i pori.
Inoltre, avendo capito che l'M5s può diventare il partito di Palazzo Chigi ha licenziato Di Battista, il suo uomo delle barricate, innamorato del Che Guevara (nel 2017!) facendogli addirittura dire che si è dimesso da solo perché deve accudire il suo infante). E l'ha sostituito, senza bisogno di un congresso o di una direzione generale del partito, con Di Maio che, se avesse la gobba, sarebbe l'esatta controfigura di Andreotti (un tipo che in Italia non tramonta mai anche perché lui, le canoniche, le ha bazzicate ma soprattutto le ha usate). Di Maio da qualche mese si esprime (tra l'altro senza congiuntivi; non si sa mai) con discorsi vaghi e sintetici che promettono pace, sviluppo, occupazione, serenità e che piacciono alle mamme.
Qualche settimana fa l'M5s aveva indetto un comizio in piazza Montecitorio per presentare il suo programma. Non si è svolto, non perché il pubblico fosse scarso ma perché mancava del tutto. Si sono accampate scuse organizzative. Ma la ragione era molto più semplice: l'elettorato pentastellato non ha bisogno di conoscere il programma del partito (pardon, del movimento) perché esso è il più sintetico che ci sia. Si può scrivere con la biro su una scatola di fiammiferi: È: Vaffa! Per capirlo bastano cinque lettere anziché le nove canoniche che sarebbero necessarie.
È con questa entità, l'M5s, che adesso i democratici italiani di qualsiasi colore debbono vedersela. E, da quel che si è detto, non sarà facile. Anche perché si sono fatti sentire recentemente dei potenti insospettabili che sono già pronti a salire sul carro del vincitore (anche se probabile, per il momento). È sempre successo così. Da noi.
Pierluigi Magnaschi
Commenti
Breve ripasso degli articoli della Costituzione che il partito fondato da un comico intende violare: artt. 1, 27, 48, 49, 67, 51, 9
In Italia esiste un partito fondato da un comico, guidato da un pagliaccio e gestito da un clown che ha costruito parte della sua fortuna difendendo in modo appassionato la Costituzione più bella del mondo salvo però dimenticarsi che la Costituzione che governa l’Italia è quella entrata in vigore il primo gennaio del 1948 dopo il voto dell’Assemblea costituente e non quella che una volta all’anno entra in vigore sul blog di un comico gestito da un clown. Per questo...
di Claudio Cerasa de il Foglio
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