Arriva Grasso. Il destino della sinistra nelle mani di un ex magistrato
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Il presidente del Senato scende in campo da leader del nuovo fronte di sinistra. Il passato in magistratura e la lotta alla mafia, il legame con Bersani e quell’incarico inatteso a Palazzo Madama.
di Marco Sarti 2 Dicembre 2017 - 07:45 da www.linkiesta.it
Alla guida del Senato ha finito per scontentare tutti, ma i sondaggisti scommettono sulle sue capacità
«È una personalità, gode di grande rispetto da parte dell’opinione pubblica». E ancora: «È credibile, una virtù non proprio diffusissima nella politica di oggi». La breve descrizione offerta in una recente intervista da Massimo D’Alema ha il carattere tipico dell’agiografia. «È anche un uomo autorevole, abituato a comandare». En plein. Sul piedistallo del Lider Maximo si erge Pietro Grasso, detto Piero. Un tempo magistrato, oggi presidente del Senato, presto leader della sinistra italiana. Prima di accettare l’ultimo incarico della sua lunga carriera ha riflettuto per settimane. Ma a scanso di clamorose novità domenica accetterà la sfida. Sarà il punto di riferimento della nuova coalizione formata dagli scissionisti di Articolo Uno-Mdp, i civatiani di Possibile, Sinistra Italiana e numerosi esponenti della società civile. Frontman indiscusso dell’alleanza antirenziana.
Settantadue anni, nato a Licata e cresciuto a Palermo. Sposato, un figlio e un nipote. Da magistrato inizia a occuparsi di criminalità organizzata nel 1972. Prima l’inchiesta sull’omicidio di Piersanti Mattarella, poi il maxiprocesso alla mafia. È in questa occasione, come ricorda nella sua biografia, che viene incaricato di scrivere la sentenza: «Settemila pagine per 475 imputati». La collaborazione con Giovanni Falcone si infittisce nei primi anni Novanta. E già allora la strada è segnata. Nel 1999 Grasso torna a Palermo come procuratore capo della Repubblica: «In questi anni - ricorda orgoglioso - vengono arrestate per mafia più di 1.700 persone e vengono consegnati alla giustizia 13 dei 30 latitanti più pericolosi». Il resto è storia recente: la nomina a capo della procura nazionale antimafia e la decisione di scendere in politica (non prima di essersi dimesso dall’ordine giudiziario, nota di stile non troppo comune).
A poche settimane dallo scioglimento delle Camere l’ex magistrato scende in campo da protagonista. La figura è in grado di calamitare attenzioni e consensi, assicurano i sondaggisti. La sola presenza sulla scheda elettorale può valere il 5 per cento. Ma i detrattori di Grasso non nascondono i dubbi. Il presidente del Senato sarebbe noto nel Palazzo, meno nelle piazze. Una figura seria, ma incapace di scaldare le folle
Adesso Grasso tenta la nuova avventura con i bersaniani. La scelta non deve stupire: il legame con l’ex segretario del Partito democratico è stretto da tempo. Di più. Grasso deve all’ex ministro di Bettola la sua intera carriera politica. Nel 2012 è stato Bersani a offrirgli un posto al Senato nelle liste del Pd. E sempre lui, pochi mesi dopo, lo ha spinto sulla poltrona più ambita di Palazzo Madama. La vicenda è nota: alle prime battute della legislatura, nel tentativo di aprire un dialogo con i Cinque Stelle, l’allora leader democrat decise di candidare alla presidenza di Camera e Senato due esponenti della società civile. Boldrini e Grasso, appunto. Alla fine la strategia di Bersani risulterà un fallimento, sarà la prima porta in faccia che riceverà dai pentastellati. Dovendo scegliere tra Grasso e Schifani, i grillini preferiranno astenersi. «Una scelta impossibile - spiega in quei giorni Grillo - si trattava di decidere tra la peste bubbonica e un forte raffreddore». Ma se salta l’intesa con il Movimento Cinque Stelle, l’ex magistrato conquista comunque la poltrona.
Grasso diventa la seconda carica dello Stato. Un ruolo a cui non aveva mai pensato prima, ammetterà agli amici. Il discorso di insediamento è tutto un programma. «La vita riserva sempre delle sorprese - spiega all’Aula appena eletto - Interpreto questo mio nuovo e imprevisto impegno con spirito di servizio, per contribuire alla soluzione dei problemi di questo Paese». E chissà se è lo stesso spirito di servizio che oggi lo spinge alla guida della sinistra. Sfida ambiziosa, forse troppo. Roba da far tremare le gambe. Davanti alle future incognite tornano in mente i giorni del maxiprocesso, quando il capo dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo Antonino Caponnetto lo rincuorò con una pacca sulle spalle: «Fatti forza ragazzo, vai avanti a schiena dritta e testa alta e segui soltanto la voce della tua coscienza». E così Pietro Grasso va avanti. La nuova partita la gioca con tempismo perfetto. A poche settimane dallo scioglimento delle Camere l’ex magistrato scende in campo da protagonista. Difficile altrimenti. La figura è in grado di calamitare attenzioni e consensi, assicurano i sondaggisti. Secondo Ipr Marketing la sola presenza di Grasso sulla scheda elettorale vale il 5 per cento (questo spiega perché il suo nome sarà inserito nel simbolo della nuova formazione). Una leadership capace di erodere preferenze tanto all’astensionismo che al fronte renziano. E chissà se è vero. Mentre D’Alema e Bersani sognano in grande - qualcuno immagina percentuali a due cifre - i detrattori dell’ex magistrato non nascondono i dubbi. Le critiche riguardano la poca popolarità del presidente del Senato: noto nel Palazzo, meno nelle piazze. Una figura seria e dal passato importante, spiegano, ma probabilmente incapace di scaldare le folle.
Alla poltrona di presidente del Senato non aveva mai pensato, racconterà agli amici. Il discorso di insediamento è tutto un programma. «La vita riserva sempre delle sorprese - spiega quel giorno in Aula - Interpreto questo mio nuovo e imprevisto impegno con spirito di servizio». E chissà se è lo stesso spirito di servizio che oggi lo spinge alla guida della sinistra. Sfida ambiziosa, forse troppo. Roba da far tremare le gambe
Il tempismo, si diceva. Effettivamente quello di Grasso è un nome che torna spesso, anche troppo. Durante le fasi più delicate della legislatura è circolato più volte nei retroscena politici. Accostato alternativamente al Quirinale e a Palazzo Chigi. Una candidatura buona per tutte le stagioni. A lui, per esempio, si è pensato un anno fa, subito dopo le dimissioni di Matteo Renzi. Per il premier uscente sarebbe stata una beffa: i rapporti tra i due non sono mai stati troppo intimi. Un dissapore nato ai tempi della riforma costituzionale, quando il rottamatore si era messo in testa di ridimensionare il Senato. L’ultima frecciata risale a pochi giorni fa. Dopo aver lasciato il gruppo parlamentare - in polemica con la fiducia sul Rosatellum - Grasso ha spiegato così i motivi del suo addio: «Non sono io che sono uscito, è il Pd che non c’è più. Il vero Partito democratico era quello di Bersani….».
Al netto della battuta, nelle aule parlamentari Grasso sembra preferire il basso profilo. Silenzioso, discreto, come si conviene a un buon presidente del Senato. Con massimo rispetto per il suo ruolo istituzionale, in queste settimane non si è mai sbilanciato sulla nuova avventura politica. Tanto da attendere l’approvazione della legge di bilancio prima di accettare l’investitura. La sua esperienza a Palazzo Madama l’ha vissuta così, del resto. Imparziale ed equidistante, almeno nelle intenzioni. E forse è proprio per questo che alla fine ha finito per scontentare un po’ tutti. Il centrodestra gli rimprovera la condotta durante il voto per la decadenza di Silvio Berlusconi, mentre nel Pd c’è chi non ha digerito i dubbi, mai troppo nascosti, sulla riforma costituzionale poi bocciata al referendum. Terzo sopra le parti, Grasso si è preso le critiche in maniera bipartisan. Solo in mezzo alle pallonate, come quando giocava. Non a caso nel ruolo di centrocampista. Quella del calcio è una vecchia passione che non ha mai abbandonato. E mentre il suo Palermo tenta una difficile promozione in serie A, per l’ex magistrato la partita più importante resta quella ancora da giocare. La discesa in campo con la sinistra. Una sfida difficile, con tutte le suggestioni e i dubbi del caso. E la politica che ancora una volta si affida a un ex magistrato. La difesa d’ufficio spetta a D’Alema. «Grasso non è un magistrato: si è dedicato alla politica quando ha finito il suo mandato» ha spiegato un po’ stizzito poche sere fa in tv. «E non ha mai voluto essere candidato in quella Sicilia dove aveva esercitato il suo ruolo. Semmai Grasso ha rappresentato un modello di come un magistrato deve avvicinarsi alla politica». Amen.