L'ex assessore Colomban accusa la sindaca Raggi di «tenere fermi nel cassetto» i suoi suggerimenti per
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Roma: siamo andati a vederli
di Tino Oldani, 30.9.2017 da www.italiaoggi.it
Zitto zitto, nell'annetto scarso in cui è rimasto a Roma come assessore alle società partecipate della giunta Raggi, l'imprenditore veneto Massimo Colomban non si è limitato a studiare come ridurre da 31 a 11 il numero delle società comunali, che perdono milioni a vista d'occhio, ma ha elaborato anche una serie di proposte concrete, ad ampio raggio, per fare di Roma una capitale bene amministrata, dopo decenni di malgoverno. Proposte condensate in un documento consegnato in aprile alla Raggi, ma (afferma Colomban in un comunicato postato sul web in ottobre) «tuttora fermo negli uffici del sindaco». Segno evidente della delusione che lo ha portato alla fuga dai Cinque stelle, «movimento che credevo fosse innovatore, ma così non è».
Nel dossier di Colomban, da lui messo in rete da poco, ben dopo la fuoriuscita dal Campidoglio, non mancano spunti interessanti. È vero, ammette, che Roma è amministrata peggio di Milano. Ma le varie giunte romane degli ultimi decenni, e con loro i governi nazionali, non hanno mai posto la dovuta attenzione al fatto che Roma, al cui interno è compreso lo Stato Vaticano, ha una superficie che è sette volte quella di Milano (Ostia, che è grande come Bologna, per Roma è solo un quartiere-municipio). E quando il Parlamento ha varato le città metropolitane, compresa Roma Capitale, ha sottovalutato il fatto che la superficie di Roma (1.287 kmq), da sola, è grande come l'insieme delle altre otto città metropolitane istituite dalla legge. Infatti, sommando Milano, Torino, Napoli, Reggio Calabria, Firenze, Bologna, Genova e Bari, si arriva a 1.267 kmq: 20 kmq meno di Roma!
In Europa, se si esclude Londra, per avere una superficie vicina (1.279 kmq) a quella della capitale d'Italia, occorre sommare altre nove capitali europee: Vienna, Lisbona, Atene, Amsterdam, Berna, Parigi, Copenaghen, Dublino e Bruxelles. Ecco perché servire un'area metropolitana così vasta, assicurando dovunque servizi pubblici efficienti (in primis, trasporti locali e la raccolta dei rifiuti), sarebbe un'impresa ardua per chiunque, ma del tutto impossibile per partecipate comunali malgestite come quelle romane. Un gap aggravato dalle risorse scarse.
Secondo i calcoli di Colomban, Roma ha una rete viaria che è cinque volte quella di Milano (8.594 km contro 1.703), ma per il mantenimento delle strade (quindi anche delle famose buche) dispone di appena 122 mila euro l'anno per ogni km, mentre Milano può contare su 1,5 milioni per km. Ergo, sostiene Colomban, per tenere in ordine le sue strade, Roma dovrebbe ricevere più fondi dallo Stato, al pari delle altre capitali europee, in aggiunta agli oneri già in essere per smaltire, entro il 2042, il debito di 13 miliardi (che in realtà è di 15 miliardi, dice il documento).
Lo stesso discorso (più risorse) vale per tutti gli altri servizi pubblici. Prendiamo i rifiuti: a Roma, calcolati sul rapporto kg/persona, sono il 30% in più rispetto a Milano, e questo dipende anche dal forte afflusso dei turisti. E se l'Ama, azienda comunale per la raccolta dei rifiuti, è un disastro finanziario, la colpa è in parte dei romani che non pagano la bolletta della Tari (4 milioni di persone servite, ma appena 2,8 milioni di contribuenti effettivi), ma anche delle centinaia di enti esentati dal pagamento Tari: oltre cento ambasciate, più migliaia di edifici pubblici che fanno capo a ministeri, Camera, Senato, Quirinale e rappresentanze estere varie. Perché mai il costo di questo privilegio, tipicamente statale, dovrebbero pagarlo soltanto i contribuenti romani?
Per funzionare allo stesso livello di Milano, sostiene Colomban, Roma dovrebbe ricevere dal governo le medesime risorse pro capite dei milanesi: da 1,3 a 1,8 miliardi di euro in più ogni anno. Può sembrare un calcolo giustificatorio, e in parte lo è. Ma questo, purtroppo, è l'unico suggerimento che la sindaca Raggi ha fatto proprio finora, come si è visto in occasione degli incontri recenti con il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, dove non ha fatto altro che chiedere più soldi, come un disco rotto, senza mai mostrare di avere un piano per la città.
In fondo, le sarebbe bastato copiare Colomban, che sui 24 mila dipendenti del Comune sostiene: «devono lavorare meglio e produrre almeno il 30% in più». A Roma la digitalizzazione dei processi organizzativi è molto carente: per i condoni edilizi 1985-1995 sono tuttora giacenti 190 mila faldoni inevasi, con centinaia di milioni ancora da incassare; i 24 mila immobili per l'edilizia abitativa e commerciale di proprietà del Comune non sono gestiti con sistemi digitali, e questo rende impossibile non solo riscuotere affitti regolari, ma perfino venderli. «Milano, pur possedendo molto meno del patrimonio immobiliare di Roma, riesce a vendere e mettere sul mercato tre volte di più in termini monetari!».
Il documento Colomban suggerisce anche le tecnicalità finanziarie, di tipo aziendale, per azzerare il debito di 15 miliardi, con procedure non semplici da riassumere, ma «valide per tutte le società da risanare», previo accordo tra Comune e governo. Suggerimento del tutto ignorato dalla Raggi. E il risultato si è visto: in Campidoglio c'era un amministratore serio e competente, di certo più competente della sindaca. Ma quando ha i visto i grillini all'opera, e se l'è data a gambe levate.