In soccorso del supposto vincitore
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È già successo altre volte in passato. Purtroppo
di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it da ItaliaOggi.it 11.4.2017
«''Fidatevi di me'' non è fonte di diritto, davanti a un tribunale». Il giudice del tribunale civile di Genova Roberto Braccialini ha, infatti, sospeso l'esclusione della lista di Marika Cassimatis, la candidata del Movimento 5 Stelle vincitrice delle Comunarie per la candidatura a sindaco di Genova e poi scomunicata da Beppe Grillo. Dopo questa decisione, le ragioni, a lungo cercate, che possono avere spinto il dottor Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto della Repubblica a Messina, a partecipare al convegno indetto dalla Fondazione intestata a Gianroberto Casaleggio per dare una riverniciatura accettabile a un partito fortemente inquinato dall'essere un'organizzazione padronale senza democrazia interna diventano sempre più oscure. Inesplorabili.
Ho anche letto i riassunti giornalistici dell'intervento del dottor Ardita sul tema, tutto politico, della giustizia e ho colto una insanabile contraddizione tra le parole del magistrato e il proposito espresso dall'erede (già, nel partito, l'incarico cruciale di gestore del web, è andato per successione) Davide Casaleggio: «Qui non si parla di politica, si parla di futuro», un proposito che ampiamente richiama la raccomandazione di Mussolini, esposta in fabbriche ed esercizi commerciali «Qui non si parla di politica, si lavora.»
Anche per questa contraddizione, non ho trovato (e, di sicuro, è colpa mia) una ragione valida che è una per considerare la presenza del dottor Ardita alla manifestazione di Ivrea coerente con il servizio allo Stato di un qualsiasi magistrato la cui autonomia di giudizio è condizione irrinunciabile e preliminare a qualsiasi sua attività professionale, civile, familiare. Me ne spiace e molto, visto che, nel traballante ritorno alla prima Repubblica, il potere giudiziario è ancora, con limiti e contraddizioni, un presidio di legalità sul quale una parte non insignificante di italiani fa conto. Come dimostra la decisione cautelare di Genova, che travalica i limiti della città e tracima su tutta la melma (melma, in quanto non c'è alcun presidio democratico e tutto è demandato a Grillo e Casaleggio che dalla loro creatura traggono potere e profitti) organizzativa del Movimento a 5Stelle.
Per gli altri partecipanti alla kermesse di Casaleggio, i cosiddetti esterni (per alcuni dei quali vale la definizione di Lenin «Gli utili idioti»), voglio ricordare alcuni nomi a loro ignoti: Hans Heyse, il «camerata Platone» diventò professore di filosofia all'Università di Königsberg nello stesso anno in cui s'iscrisse al partito nazista. Nell'ottobre 1933, come riconoscimento per la sua devozione a Hitler, fu promosso a rettore dell'ateneo e nel 1937 fu nominato direttore federale dell'Accademia delle scienze. Come lui, furono tanti i filosofi che aderirono al nazismo: Alfred Bäumler, Ernst Bergmann, Hans Alfred Grunsky, Otto Höfler, Ernst Krieck, Alfred Rosenberg, imputato al processo di Norimberga, Walther Schulze-Sölde, Max Wundt e qui mi fermo.
Gleichschaltung significa «ascolta» ed è la formula dei sociologi del regime nazista per definire il rapporto tra i cittadini e il partito e viceversa. Probabilmente, il sociologo Domenico De Masi (uno che ha ampiamente e per decenni frequentato i salotti del potere, diventando in molti casi esso stesso «potere») conosce la teoria e la pratica della tragica ideologia (dell'ascolto e dell'unità popolo-partito) che governò la Germania per poco più di dieci anni arrecandole la perdita di milioni di tedeschi e la devastazione della patria. E conosce altresì il pensiero del francese Èmile Durkheim, alle cui teorie (in due parole: «Il partito è come Dio») si ispirarono largamente Goebbels e gli altri creatori del mostro nazista.
La convention commemorativa di Gianroberto Casaleggio serviva (questo emerge, alla fine) a rivestire in doppio petto le sciamannata masnada grillina e fornirle un presunto côté perbenista, allontanandosi dalla sensazione del ripetersi della storia e, soprattutto, dei disastri del secolo scorso attivati dalla comune ideologia populista che portò fascismo e nazismo alla vittoria in Italia e in Germania. Qualcuno di questi signori (i soccorritori dei non ancora vincitori Casaleggio&Grillo nel proposito di riverniciatura) dovrebbe leggere «Hammerstein o dell'ostinazione» di Hans Magnus Enzensberg, che spiega come il rifiuto della dittatura nazista fosse la conseguenza naturale di un attento ascolto delle parole di Hitler.
Ho voluto portare questi riferimenti, perché ho la brutta sensazione che nessuno si renda conto di quali siano i rischi che corre la nostra democrazia a causa della nascita e del successo relativo che ha ottenuto un partito che si chiama movimento, che ha due padroni, Grillo e la famiglia Casaleggio, nel quale si vota sul web (con numeri di ridicola partecipazione), che impone ai suoi eletti (prima dell'elezione) l'impegno estorsivo di pagare 150 mila euro in caso di disubbidienza definita tale dal garante (il predetto Grillo) e che, infine, si pone al di fuori della dialettica democratica. Il partito che sta cercando di imporre, alla Roma scettica e corrotta di sempre, un referendum propositivo senza quorum, in modo che perciò basterebbe il voto di un centinaio di adepti favorevoli all'impostura (quale essa sia) per indirizzare la capitale su una strada piuttosto che su un'altra.
È venuta fuori un'altra idea demenziale, a Ivrea: il governo degli «ottimati», cioè dei migliori (tentazione che aveva colto Napolitano quando aveva portato al posto di maggiore responsabilità dell'esecutivo il prof. Mario Monti) a cui corrisponderebbe un popolo (grillino) di falliti, di gente che, non avendo mai lavorato, non ha mai guadagnato, non ha mai presentato una dichiarazione dei redditi e che ha visto i primi quattrini di un regolare stipendio il giorno in cui è entrata in un consiglio o in una giunta comunale o regionale, o in Parlamento.
Che si vedano dei giornalisti, intorno al mondo grillino, non è un paradosso. In un'Italia che ha perduto i riferimenti deontologici delle professioni è normale che anche i giornalisti cerchino amicizie e protezione in casa di coloro che –ritengono- diventeranno i prossimi padroni dell'Italia. E la sciagura di questo bel Paese, sul quale brilla incontrastata (per fortuna) la stella polare di Milano, una città che ha ritrovato se stessa e il proprio ruolo nazionale ed europeo, è che l'unico leader con una popolarità adeguata a contrastare il fenomeno totalitario che sta avanzando è Matteo Renzi che però non distingue un valore democratico da un'espressione demagogica, che, spesso, insegue Grillo nelle sue manifestazioni populiste e che, sino a oggi, non ha mostrato la struttura ossea dello statista che ci vorrebbe. Purtroppo, non c'è altro in giro e la battaglia per la democrazia dovrà ritenere Renzi uno dei pilastri su cui contare, il principale, insieme a questo Pd, così sbandante in questi mesi.
Aldo Grasso ricordava domenica sul Corriere (uscendo dalla prudenza di cui fa sfoggio la testata di Cairo) che Casaleggio (padre) s'era inventato la connessione via Rete degli «inattivi e frustrati» (con il tempo libero, quindi, per dedicarsi alle idee di Grillo) e, citando Mino Maccari, che «L'attività del cretino è molto più dannosa dell'ozio dell'intelligente».
Aggiungo io: la percentuale degli imbecilli e degli intelligenti, dei corrotti e degli onesti, dei lavoratori e degli sfaticati è una costante in tutte le organizzazioni complesse. Ciò significa che percentuali abbastanza costanti delle predette specie antropologiche si possono ritrovare nelle Forze armate, nei partiti, nella politica, nell'amministrazione civile, economica e giudiziaria. Senza stupori.
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