Più Merkel e meno Trump: ecco ciò di cui avrebbe bisogno l’Italia per salvarsi
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Di ritorno dagli Usa, la Cancelliera esce glorificata dal confronto con Donald Trump.
di Francesco Cancellato 20 Marzo 2017 –Linkiesta.it
Anche in Italia, dove i politici giocano a spararla più grossa e dove il modello Merkel sembra essere distante anni luce. Un modello, per inciso, che ci farebbe solo bene. E che non è detto parta sconfitto
“La leader del mondo libero incontra Donald Trump”. Così James. P. Rubin, su Politico, ha vergato il titolo definitivo sull’incontro tra la cancelliera tedesca e il presidente americano alla Casa Bianca, dello scorso 17 marzo. L’articolo, peraltro, era del giorno prima. Rubin non poteva immaginare la stretta di mano rifiutata da Trump, e le battute grevi sul fatto che l’unica cosa che lui e la Merkel avessero in comune fosse il fatto di essere stati entrambi spiati dall’Amministrazione Obama. A memoria d’uomo, mai si era percepita una tale distanza tra la prima e la seconda potenza del blocco occidentale. Mai, peraltro, si era percepita una tale superiorità morale e politica della Germania - e di riflesso dell’Europa - rispetto agli Stati Uniti d’America.
Sarà anche per questo che da questa parte dell’Oceano è andata in scena una rivalutazione di massa della cancelliera tedesca, non certo il politico più amato del Vecchio Continente - tedeschi esclusi - dell’ultimo decennio. Rassicurati di essere noi, per una volta, dalla parte giusta del mondo.
Quella di chi è diventata persona dell’anno di Time nel 2015 per aver accolto un milione di profughi siriani. Al contrario della persona dell’anno di Time 2016, che ha vinto le elezioni americane promettendo muri per i messicani e fogli di via per i musulmani. A migliaia di chilometri di distanza da qua, Angela Merkel ci fa sentire tutti anime belle, più di quanto ci meritiamo di esserlo.
Perché in fondo la deriva che l’Italia ha preso negli ultimi anni è quanto di più trumpista ci possa essere. Nell’analisi del problema - è colpa degli altri, il nemico è fuori -, così come nella sua soluzione - fuori dall’Euro. Nei modi sguaiati e sopra le righe, nella comunicazione ipertrofica, istantanea, nella polarizzazione feroce, sempre e comunque, nella banalizzazione di ogni argomento alla ricerca del consenso più facile, in soluzioni velleitarie e irrealistiche, nelle premesse e nei risultati. Una tendenza, questa, che in proporzioni e misure diverse, abbraccia tutto l’attuale emiciclo parlamentare, da Salvini a Grillo, passando da chi, come Berlusconi e Renzi, questa deriva la dovrebbe arginare e invece l’asseconda. “Egemonia culturale grillina”, l’ha definita Ernesto Galli Della Loggia, a ragione.
Merkel, a ben vedere, è la nemesi della politica italiana di oggi. Non la sentirete mai dare la colpa dei guai tedeschi a qualcun altro, né tantomeno ostentare facili soluzioni da estrarre dal cilindro per risolvere i problemi. Non la vedrete mai in televisione, o quasi, né leggerete mai un suo tweet o un suo post su Facebook, poiché la sua presenza sui social network è ridotta al minimo. Quel che avrete, semmai, è una leader abile, pragmatica, prudente sino all’eccesso e attentissima al consenso, ma altrettanto coraggiosa quando si tratta di prendere decisioni nette e impopolari e portarle avanti prescindere da ogni umore di piazza, sia la rinuncia al nucleare, l’apertura dei confini ai profughi, la fermezza nei confronti della Russia di Putin. Soprattutto, una mediatrice instancabile e arcigna, una che non umilia gli avversari, ma se li tiene vicini, che premia i propri alleati socialdemocratici nella Grosse Koalition oltre i loro meriti elettorali - la Cdu ha meno ministri della Spd, il nuovo presidente tedesco è il socialdemocratico Steinmeier -, in grado di fare di se stessa il baricentro politico della Germania.
Da noi, un modello politico del genere sarebbe immediatamente bollato come impopolare. Tireremmo in ballo differenze politiche, sociali e antropologiche tra italiani e tedeschi, tireremmo in ballo la mentalità cattolica e quella protestante, le differenti maturità dei rispettivi elettorati, la diversa situazione economica e sociale - come se non fosse figlia di scelte impopolari, quella, ma solo dell’Euro e dei cattivoni di Bruxelles eterodiretti da Berlino -, le diverse traiettorie politiche tra una signora che occupa la Cancelleria da dodici anni, mentre noi facciamo di mille giorni di governo un’eternità.
Eppure sarebbe bello. Che le coalizioni di governo, grandi o piccole, nascessero con dei patti di coalizione negoziati e rispettati, dall’inizio alla fine, senza che nessuno cambi idea appena può far valere il proprio potere d’interposizione (leggi: ricattare la maggioranza).
Che di una politica o di una riforma se ne monitorassero e se ne valutassero gli effetti a distanza di anni, non di giorni. Che l’agenda politica non dovesse dipendere da questa o quella elezione locale. Che l’impopolarità di alcune misure non le rendesse necessariamente irrealizzabili. Che i mezzi di comunicazione fossero usati con sobrietà - parsimonia sarebbe troppo - e non per la ricerca spasmodica di un titolo da dare in pasto a giornali e telegiornali. Sarebbe bello e non è detto sarebbe di sicuro destinato alla sconfitta. Due indizi: la popolarità record del neo premier Gentiloni, la cosa più vicina al merkelismo che abbiamo in Italia, se non altro nello stile. E la fine che ha fatto Matteo Renzi nel voler a tutti costi polarizzare lo scontro politico sulla sua figura. Nel frattempo che ci pensiamo, non possiamo fare altro che vantarci di non avere a Palazzo Chigi un altro Donald Trump. Per ora.
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