Talent show al Colle

Orlando, Calenda, Franceschini. Mattarella studia ministri pensando al premier possibile per un domani

di David Allegranti 28 Febbraio 2017 alle 06:00  Foglio

Roma. Il nuovo ordine proporzionalista, in un paese politicamente frammentato, sembra fatto apposta per stritolare i leader dalla vocazione maggioritaria.

Sicché, la domanda sorge spontanea: ma Matteo Renzi riuscirà mai a tornare a Palazzo Chigi?

I ministri gentiloniani, che poi sono ex renziani, hanno già capito che è più facile che l’Inter faccia un nuovo triplete e si sono così ritrovati catapultati all’interno di un talent show che potrebbe trasformare molti di loro in nuovi Enrico Letta: nel senso del vice di un partito che diventa premier dopo la non vittoria del segretario del partito di maggioranza relativa. Alle prossime elezioni politiche potrebbe esserci un’altra paralisi istituzionale e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe conferire l’incarico al Letta di turno. Finché c’è proporzionale c’è speranza ma non Speranza (almeno a Palazzo Chigi).

I ministri, da Carlo Calenda ad Andrea Orlando, che è pure candidato al congresso del Pd, quindi godrà di visibilità doppia, senza peraltro rinunciare al dicastero, sanno di poter contare anche su questa carta. Il titolare della Giustizia vanta pure quarti di nobiltà postcomunista quirinalizia, visto che ha il sostegno del presidente emerito Giorgio Napolitano. Potrebbe riuscire nel colpo: perdere il congresso contro Renzi, ma costruire un profilo da riserva della Repubblica utile per farsi dare l’incarico in caso di non vittoria. Che dire poi di Calenda, che dal 2013 a oggi ha fatto in tempo a essere viceministro dello Sviluppo Economico nel governo Letta, dunque con Renzi, e poi spedito dallo stesso Renzi a fare il Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea? Da dicembre a oggi Calenda si è fatto notare in molte circostanze – intervista al Corriere (due), a Repubblica, alla Stampa, successo anche al forum del Foglio – proponendosi come teorico antipopulista e vantando uno standing europeo ed europeista. Dunque perfetto per i tempi che corrono, nei quali le élite vengono sbertucciate ma serve anche gente che un giro fuori Rignano se l’è fatto.

Ma ognuno tra i ministri aspira a qualcosa: Marco Minniti gioca la carta del fratello maggiore con la patente di agente segreto, affidabile e protettivo, ma non fatelo incazzare ché potrebbe stendervi con una mossa del Krav Maga, l’arte marziale insegnata ai membri del Mossad. Pier Carlo Padoan è l’eterno candidato di un governo del presidente; già si parlava di lui, in quota Europa, come presidente del Consiglio prima di Paolo Gentiloni. Peraltro, adesso è il titolare del duello con Bruxelles su uno dei temi più amati da Renzi, quello sullo zerovirgoladue: “L’Europa anziché ragionare e riflettere dei massimi sistemi, fa le letterine sullo 0,2. Un prefisso per chi chiama da fuori Milano”. Graziano Delrio, cattolico adulto, renziano critico, dopo il famoso fuorionda su Renzi che non ha fatto niente per evitare la scissione, neanche una telefonata, e sui renziani che non vedevano l’ora di liberarsi della minoranza per avere posti in più nelle liste elettorali per il prossimo giro, è invece il candidato perfetto in quota perfidia. Alle prime leopolde era una specie di numero due del renzismo, qualunque cosa possa significare essere numero due di Renzi, addirittura qualcuno lo paragonò a uno di quei fratelli saggi che dicono cose ragionevoli. Anche lui era finito nel borsino giornalistico degli aspiranti premier, prima della nomina di Gentiloni; oggi Renzi e i renziani lo vedrebbero come un colpo di stato.

Poi naturalmente c’è Dario Franceschini, il ministro della Cultura, che ha già rottamato vari segretari prima di trovare una nuova collocazione; nelle ultime settimane, quando s’è affacciata la scissione, Franceschini ha vestito i panni del novello Andreotti, il quale da leader della Dc raccontava di praticare la politica dei due forni, servendosi una volta dai socialisti, un’altra volta dai liberali (o pure dai missini). Il franceschiniano Franceschini naturalmente di forni ne ha più di due e alla fine è rimasto cliente (per ora) di quello renziano. Angelino Alfano aspira più modestamente a non sparire politicamente, quindi ha scritto una lettera a Berlusconi per chiedergli di tornare insieme, manco fosse un matrimonio in pezzi da ricostruire, invocando un rassemblement dei moderati. Non è dato sapere che cosa Berlusconi pensi oggi del suo ex delfino, ma Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, pare piuttosto chiaro: “Mentre si pone il problema della creazione e della collocazione strategica di un polo moderato e liberale, notiamo che il baricentro di Ncd si è spostato nell’area renziana, tant’è che Alfano voleva convincerci a votare a febbraio come chiedeva l’allora premier”. Manca solo il #ciaone, ma il concetto è già chiaro di suo. Anche perché il Cav. pare orientato altrove. È pronto a bruciare un altro delfino, sponsorizzando apertamente la candidatura di un leghista, Luca Zaia. “Se Berlusconi non potrà tornare in campo, il centrodestra dovrà trovare qualcuno al suo interno. Il governatore del Veneto Luca Zaia si sta comportando molto bene. Dico Zaia o qualcun altro in grado di emergere e convincere tutti”. L’impressione è che il Cav. stia soprattutto trollando Matteo Salvini. Anche perché Zaia non è interessato: “Basta con ’sta manfrina. Amministrare una regione non è una questione semplice ma di impegno quotidiano e di credibilità. Per me resta una manfrina, per quanto riguarda la Lega abbiamo già un candidato, che è Matteo Salvini”. Dirà il vero? Chissà. D’altronde la cronaca politica recente è lastricata di rassicurazioni e “stai sereno”, poi trasformati in rottamazione. Quella che finora è mancata nel centrodestra

Categoria Italia

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