Così Tofalo dei 5 stelle si è infilato in uno schema anti italiano che va da Tripoli a Mosca
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Il M5s ha tentato di dare copertura internazionale a un’alleanza che vuole ribaltare il governo libico appoggiato dall’Italia con una missione di duecento militari
di Daniele Raineri 28 Febbraio 2017 alle 05:45 Foglio
Roma. Vediamo di ricapitolare la vicenda in cui è implicato Angelo Tofalo – deputato del Movimento 5 stelle e membro del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti – perché dalle ricostruzioni dei giornali mancano alcuni pezzi importanti.
Prima di tutto, c’è da sapere che l’Italia appoggia assieme alle Nazioni Unite un piano di riconciliazione nazionale in Libia che passa per un governo – ora molto debole – guidato da Fayez al Serraj. “Appoggia” è dire poco: le trattative per arrivare a Serraj si sono tenute a Roma e il premier Paolo Gentiloni, allora ministro degli Esteri, è stato uno dei protagonisti centrali. Si può essere a favore della soluzione Serraj o contro la soluzione Serraj, ma questa è la posizione ufficiale dell’Italia in questo momento e Roma ha mandato un contingente militare di circa 200 uomini a Misurata proprio per dimostrare a Serraj che il nostro paese lo appoggia.
I soldati sono laggiù in missione medica con un ospedale militare per curare i libici rimasti feriti nella battaglia contro lo Stato islamico durante la liberazione di Sirte. Il nostro può sembrare un ruolo marginale e invece era molto importante nei mesi scorsi: pensate ai libici colpiti mentre combattevano contro l’Isis a Sirte e che dovevano essere trasportati per duecento chilometri fino a Misurata prima di vedere un ospedale vero. La battaglia è stata feroce, sono morti quasi settecento uomini dalla parte del governo di Tripoli e il numero dei feriti è stato molto più alto. Al punto che spesso l’offensiva contro l’Isis entrava in stallo – prima dell’arrivo degli italiani – semplicemente perché c’era da aspettare che si liberassero abbastanza letti d’ospedale prima di riprendere la lotta.
Nel giugno 2016 bastava salire sugli aerei di linea che collegano Misurata alla Tunisia o alla Turchia per vedere che le ultime file di sedili erano state rimosse e al loro posto c’erano alcune lettighe, imbullonate al pavimento della carlinga, per trasportare all’estero i feriti che non potevano essere curati in Libia. Questa era la situazione.
Un viaggio tra le vie di Sirte
Il linguaggio delle esplosioni, i camion della sera carichi di munizioni, la domanda delle milizie libiche che combattono lo Stato islamico: perché dobbiamo fare tutto da soli? “Abbiamo bisogno di armi, la comunità internazionale deve togliere l’embargo, se vuole che schiacciamo Is al posto vostro”.
I libici hanno liberato Sirte – e hanno eliminato l’enclave dello Stato islamico più vicina alle nostre coste – ma la posizione del governo Serraj non è migliorata, anzi. A ottobre e a gennaio il capo dell’ex governo islamico di Tripoli che è stato scalzato dall’arrivo di Serraj e che si chiama Khalifa Ghwell ha provato a cacciarlo via con due assalti militari nella capitale che gli hanno fruttato soltanto l’occupazione di alcuni ministeri e dell’hotel Rixos, che ora è diventato il suo quartier generale. Due quasi golpe non fanno un golpe intero, ma è chiaro che vuole buttare a mare Serraj. Per questo Ghwell aizza i libici anche contro la presenza italiana a Misurata e dice che vanno cacciati, che sono colonialisti e che “i loro nonni fascisti ci uccidevano”.
Ghwell ha sempre goduto dell’appoggio di Turchia e Qatar (due paesi che nella retorica “sovranista” fanno sempre la parte dei cattivissimi: tranne quando invece fanno comodo) ma per spodestare Serraj chiede anche l’aiuto di Khalifa Haftar, il generale che controlla l’est della Libia (quindi la parte dove si trovano Bengasi e Tobruk, lontane dall’ovest, dove c’è Tripoli). Negli anni scorsi Ghwell e Haftar non sarebbero andati per nulla d’accordo, ma oggi hanno un obiettivo comune, sradicare Serraj da Tripoli. Come è noto, Haftar è diventato da mesi un alleato esplicito della Russia di Vladimir Putin e vede questo sodalizio con Mosca come il veicolo più sicuro per arrivare a imporre il suo controllo su tutta la Libia. Martedì 14 febbraio Ghwell ha incontrato l’ambasciatore russo a Tunisi, Sergei Nikolaev, per parlare di nuovo del solito problema: cosa fare con Serraj? Come sbarazzarsene?
Ghwell ha bisogno di due elementi per vincere contro Serraj. Uno: le armi, in Libia è un problema fare arrivare il materiale bellico che serve a prendere Tripoli perché il paese è sotto embargo da parte della comunità internazionale e i libici non possono fare acquisti in quel settore (il problema è sentito anche da Haftar, che infatti chiede di continuo ai russi di fare pressioni per eliminare l’embargo). Due: un minimo di legittimazione politica a livello internazionale, in modo da non incorrere in guai nel caso in cui riuscisse a rimpiazzare l’esangue Serraj.
Ecco arrivare Angelo Tofalo, che milita in un partito che è schierato con forza con la politica estera della Russia: basta leggere quanto scrive sul blog di riferimento il responsabile degli Esteri, Manlio Di Stefano, che fa una campagna martellante per togliere le sanzioni a Mosca “quando saremo al governo”, sostiene che in Ucraina c’è stato “un vero e proprio colpo di stato da parte dell’occidente”, scrive che è necessario liberarsi dalla sudditanza nei confronti della Nato – tutti punti che potrebbero essere controfirmati personalmente da Putin.
Tofalo va a incontrare il golpista fallito Ghwell a Istanbul, in Turchia, il 17 novembre, un mese esatto dopo il primo golpe tentato a Tripoli – un fatto noto a chiunque legga i giornali – e paga duemilatrecento euro anche per il viaggio dell’organizzatrice dell’incontro, Annamaria Fontana, che due mesi dopo è stata arrestata perché secondo l’accusa ancora da provare voleva trasferire armi da guerra da un grossista ucraino proprio alle milizie di Ghwell a Tripoli (vedi al punto uno, trovare le armi). Va notato che Fontana e il marito Mario di Leva erano indagati per traffico di armi internazionale dal 12 dicembre 2015, quindi quasi da un anno prima, e che quell’indagine non era segreta.
Lo scopo dell’appuntamento (senza streaming) a Istanbul, come ha spiegato Tofalo ai magistrati, era organizzare dieci giorni più tardi un incontro a Roma con alcuni leader libici per parlare di pace. All’incontro, al quale era prevista anche la presenza di Alessandro Di Battista e di Luigi Di Maio, avrebbero dovuto partecipare Ghwell (nemico di Serraj a Tripoli), il capo del Parlamento di Tobruk Abdullah al Thani (vale a dire un altro rivale di Serraj) e forse lo stesso generale Haftar (il capo dei rivali di Serraj. In pratica manca soltanto l’Isis, che però non accetterebbe l’invito).
Mancano pochi giorni alla fine del governo Renzi per il referendum del 4 dicembre, il Movimento 5 stelle accarezza l’idea di elezioni e di arrivare al governo e intanto di fatto sta per offrire una sponda comoda al piano russo per unire Ghwell e Haftar contro Serraj e aiutarli a prendere il potere in Libia – un piano che va in direzione totalmente contraria alla posizione ufficiale dell’Italia in Libia e alla missione di duecento soldati italiani che a Misurata lavorano come simbolo della cooperazione con Serraj. Ma a quel punto qualcuno – il nome è coperto da un omissis nella deposizione di Tofalo – ferma tutto, forse perché organizzare un incontro tra nemici di Serraj e golpisti a Roma, capitale dell’alleanza con lo stesso Serraj e che a gennaio ha stretto con Tripoli un accordo sull’immigrazione, pare eccessivo.
Di tutto questo non si saprebbe nulla, senza le indagini della Guardia di Finanza culminate nell’arresto di Annamaria Fontana e del marito a fine gennaio.