L’Ulivo: ieri tradito, oggi rimpianto

In questi giorni viene ricordata come una sorta di “età dell’oro” della sinistra italiana, ma quando l’Ulivo era in campo, tra il 1995 e il 2008, quasi tutti i leader provenienti dal Pci minarono quella proposta politica

Gerardo Bianco, Walter Veltroni, Lamberto Dini, Romano Prodi, Massimo D’Alema e Carlo Ripa di Meana alla chiusura della campagna dell’Ulivo, aprile

 02/02/2017 alle ore 10:20 FABIO MARTINI, La Stampa

L’Ulivo? Sembra essere diventata una sorta di ”età dell’oro”. Soprattutto per Pier Luigi Bersani, già ministro nei due governi Prodi, ma anche esponente di punta di quella corrente politico-culturale che viene dal Pci e che ha dato vita a partiti in continuità con quella tradizione, il Pds e i Ds.

Da qualche settimana è tutto un fiorire di nostalgie evocative: «Serve un nuovo Prodi», «Se Renzi va alle elezioni, nasce un nuovo Ulivo».

Ora è un’esperienza rimpianta, ma quando l’Ulivo era in campo, tra il 1995 e il 2008, quasi tutti i leader “comunisti” minarono quella proposta politica. Nel 1998, dopo che Rifondazione ebbe ritirato il suo appoggio al primo governo Prodi, l’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga offrì il proprio appoggio a quella esperienza a patto che si “sciogliesse” l’Ulivo: Romano Prodi e Arturo Parisi dissero no, Massimo D’Alema (nuovo presidente del Consiglio), Walter Veltroni (ex vice-premier col Professore e diventato segretario Ds) e Pier Luigi Bersani (confermato ministro) dissero sì. Nella stagione che inizia nel 2005, col ritorno di Prodi in Italia dopo aver guidato la Commissione europea, l’Ulivo segna due passi avanti: nasce il Pd e la nuova leadership di verso Palazzo Chigi di Prodi viene investita con Primarie di coalizione.

Quando, nel 2008, il governo Prodi deve subire di nuovo la sfiducia di Rifondazione comunista, il Pd guidato da Walter Veltroni, anziché contrastare duramente quella manovra che porta alla caduta del governo, stipula con i comunisti un patto di non belligeranza in vista delle successive elezioni anticipate. E nel 2013, quando si tratta di eleggere il nuovo Capo dello Stato, Romano Prodi è in Africa per una missione Onu e finisce per ritrovarsi improvvisamente candidato alla presidenza della Repubblica, ma in un contesto del tutto casuale, stritolato in una guerra sorda tra i due principali notabili: Bersani (forte di un buon rapporto personale) lo candida dalla sera alla mattina e D’Alema che apertamente osteggia il Professore. Il resto è storia più recente: quando Giorgio Napolitano (nel frattempo riconfermato Capo dello Stato) si dimette nel gennaio 2015, il segretario del Pd Matteo Renzi decide di tagliar fuori Forza Italia e il centro-destra e potendo candidare un esponente della propria parte, non chiede la disponibilità a Romano Prodi, troppo “ingombrante”. E anche Renzi ogni tanto citerà la stagione dell’Ulivo. Nei momenti di difficoltà. Esattamente come gli ex comunisti.

Categoria Italia

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