Tempa rossa a pagina undici. Imputati assolti

Hanno speculato su un’inchiesta costruita sul nulla per demolire i ministri (“la sguattera”). Ora la procura chiede l’archiviazione, ma per i giornali la notizia non c’è. E non è una notizia

di Claudio Cerasa 12 Gennaio 2017 alle 06:00  Foglio

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Dopo l’ennesimo caso di un’inchiesta spuntata dal nulla, basata sul nulla, fondata sul nulla ma che ha prodotto, dal nulla, significative conseguenze politiche anche grazie al sostegno del circo mediatico-giudiziario, la notizia è ancora una volta che la notizia purtroppo non c’è.

Non c’è la notizia in senso letterale, non c’è la notizia neppure in senso lato.

 Ci avrete fatto caso anche voi: la storia dell’archiviazione chiesta dalla procura di Roma per l’ex compagno di Federica Guidi – venne indagato nell’ambito dell’inchiesta su Tempa Rossa – sui giornali di ieri, tranne qualche piccolo boxino (il Corriere a pagina 11) o qualche microscopico articolo ben nascosto nelle pagine interne (il Fatto a pagina 9), praticamente non c’è. Non c’è la notizia, e purtroppo non è una notizia, e non ci sono neppure le scuse di chi ha speculato a lungo su quella non notizia – e purtroppo neppure questa è una notizia.

Eppure, nell’aprile di un anno fa, la notizia trovò molto spazio sulle prime pagine dei giornali.

E si capisce perché: a pochi giorni dal referendum sulle trivelle, un’inchiesta sui petrolieri brutti e cattivi era quel che ci voleva per dare un po’ di pepe a una campagna referendaria altrimenti poco accattivante e per provare a consegnare agilmente un primo avviso di sfratto al governo Renzi.

In quell’occasione, come spesso accade, quasi tutti i giornali si travestirono da diligenti postini delle procure e nessuno si fece scrupolo sia a trasformare un avviso di garanzia in una sentenza di condanna sia a trasformare il verbo “spunta” in un derivato di un avviso di garanzia.

Titolo di prima pagina di Repubblica del primo aprile 2016: “Petrolio e appalti, Guidi si dimette. Tradita dalle telefonate al fidanzato. E cita la Boschi”. Titolo di prima pagina del Giornale del primo aprile 2016: “La ministra garantiva gli affari del suo uomo. Tirati in ballo Renzi e Boschi”.

Quel giorno, il primo aprile del 2016, abbiamo scoperto che essere citati al telefono da una persona indagata, pur non essendo indagati, equivale a essere complici di un reato.

E quando un giornale scrive “citato” o “tirato in ballo” o “spunta” esattamente quello sta provando a fare: sputtanare non solo chi è indagato ma anche chi non è indagato, seguendo così non una pista di un’indagine ma il tentativo di una procura di “coinvolgere” chicchesia nell’ambito di un’inchiesta anche in mancanza di prove.

Per sputtanare l’ex ministro Guidi e il suo compagno, nessun giornale in quei giorni ha esitato a pubblicare anche le intercettazioni penalmente non rilevanti offerte come dei supplì dai magistrati ai giornalisti – “Mollami, non mi puoi trattare come una sguattera del Guatemala” – e nessuno dunque pagherà nulla per uno sputtanamento gratuito e nessuno chiederà scusa per aver giocato con la privacy degli altri. Ma allo stesso modo nessuno dirà nulla rispetto a quello che successe qualche giorno dopo l’apertura di quell’inchiesta. Ovvero, ricorderete, quando l’allora ministro Maria Elena Boschi venne interrogata dai pm di Potenza per accertamenti relativi al suo interessamento su un emendamento inserito nella legge di Stabilità 2015.

Perché pubblicare la spazzatura sui giornali non è un atto dovuto. Scegliere di trasformare i giornali in una Malagrotta dell’informazione si può evitare. Ma non si fa.

Nessun giornale, tranne quello che state leggendo, notò la gravità di un fatto elementare: un magistrato che mette in discussione le discrezionalità delle scelte politiche di un ministro, per di più non indagato, non sta agendo per far rispettare la legge ma sta entrando in modo gratuito nel merito di un processo legislativo sul quale semplicemente non dovrebbe mettere bocca

E invece nulla: fecero tutti finta di niente, Boschi venne interrogata in grande stile a Largo Chigi dal pool dei magistrati di Potenza (che per l’occasione si dimenticarono di portare il computer), Guidi venne sputtanata in tutti i modi possibili e immaginabili, il suo compagno pure, Grillo creò molti hashtag per infangare i ministri “coinvolti” (#BoschiFacceRide), i presunti garantisti del centrodestra utilizzarono quell’inchiesta come una clava per colpire il governo Renzi (“Il conflitto di interessi è la malattia mortale di questo esecutivo”, disse Brunetta), il Corriere della Sera vergò severi editoriali in prima pagina per dimostrare che la sguattera del Guatemala era il simbolo di un governo losco e minaccioso, i gazzettieri delle procure diedero spazio all’accusa senza concedere nulla alla difesa e tentando di tradurre in voti per il No alle trivelle l’assalto giudiziario, tutti o quasi sputtanarano in modo gratuito la più grande azienda italiana (l’Eni) accusando Descalzi e compagnia di essere avvelenatori di pozzi e il risultato, a otto mesi da quelle indagini, è quello che vedete oggi: boxini infilati a pagina 11, giornali che non danno conto della notizia (Repubblica), altri che ironizzano sull’esito dell’inchiesta (il Fatto: “La procura di Roma chiede di archiviare tutti, anche il compagno dell’ex ministro Guidi. O il Codice è bucato o i pm si sono distratti”).

                       

La notizia dell'archiviazione dell'indagine sull'ex compagno dell'ex ministro Guidi come è stata raccontata ieri dai giornali

La notizia purtroppo non c’è, non la troverete, e purtroppo non è una notizia: quando c’è da sputtanare si aprono le prime pagine, quando c’è da archiviare si aprono i boxini, calano i sipari e cascano le braccia.

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Ma qualcuno ha letto davvero l’emendamento incriminato dell’ex ministro Guidi? Dov’è il “regalo” ai petrolieri?

Categoria Italia

Commenti

 Lorenzo Lodigiani, Caro direttore, ad iniziative disinvolte della magistratura e di certa stampa dovrebbero corrispondere reazioni meno concilianti, in questo caso quella del governo allora in carica. Se la Guidi era un ministro capace, per quale motivo provocarne le dimissioni, sacrificandola sull'altare delle trivelle.

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Rispondimarcello.gasco

Morale: se non sei in grado di gestire/influenzare l'ambiente mediatico, per quanto onesto e capace tu sia, è meglio che te ne stia lontano dalla politica. Sennò, alla prima occasione, sia essa casuale o artefatta, ti rosolano come il kebab.

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