Referendum, perché i renitenti alle urne gongolano per la decisione della Consulta
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Un referendum ancora più manipolativo di quelli permessi in passato col furbesco, più che sapiente, uso del bisturi per tagliare parole, punti e virgole di un articolo di legge, ad affossare il tentativo della Cgil di abusarne più del solito
Francesco Damato Formiche.net 12.1.2017
Nei palazzi della politica chiamano già “la sentenza 2018” quella con la quale la Corte Costituzionale con 8 voti contro 5 ha buttato nel cestino il referendum promosso dalla Cgil non per ripristinare il famoso articolo 18 del vecchio statuto dei diritti dei lavoratori contro i licenziamenti, ma addirittura per estenderne l’applicazione alle piccolissime aziende che ne erano escluse prima della riforma del mercato del lavoro.
È stata proprio questa forzatura, possibile con un referendum ancora più manipolativo di quelli permessi in passato col furbesco, più che sapiente, uso del bisturi per tagliare parole, punti e virgole di un articolo di legge, ad affossare il tentativo della Cgil di abusarne più del solito.
La sentenza dei giudici del Palazzo della Consulta, essendo se non la prima una delle prime di questo 2017 appena cominciato, non potrà naturalmente portare, quando verrà depositata e pubblicata, il numero 2018. E chi gli ha già assegnato metaforicamente questo numero non ha neppure voluto usare il 18 solo per riferirsi all’articolo del vecchio statuto dei diritti dei lavoratori. No. Il 2018 è stato concepito anche come anno: quello prossimo, della scadenza ordinaria della legislatura uscita dalle urne del 2013. Che è la scadenza alla quale gli avversari di Matteo Renzi, fuori e dentro il suo partito, vorrebbero che gli elettori fossero mandati alle urne, senza sciogliere anticipatamente le Camere per mandare gli italiani alle urne in primavera, al più tardi in autunno. Che potrebbe essere una stagione più accettabile da quei circa 300 parlamentari di prima nomina che avranno maturato nel frattempo il diritto al vitalizio, senza perdere i contributi previdenziali trattenuti dalle loro indennità dal primo giorno di questa legislatura.
Il referendum bocciato dalla Corte Costituzionale era generalmente, e fondatamente, considerato la mina più pericolosa sul percorso residuo delle Camere elette quasi quattro anni fa. Piuttosto che cercare di sminarne la strada con una modifica, difficilmente raggiungibile in poche settimane, della legge contestata dalla Cgil col suo referendum, la maggioranza di governo avrebbe potuto cedere alla tentazione di una crisi per andare alle elezioni, e rinviare conseguentemente di almeno un anno la prova referendaria. Si sarebbero così attirati due piccioni con una fava. Si sarebbe cioè favorito il disegno elettorale e guadagnato il tempo necessario per trovare nella nuova legislatura l’accordo sulla modifica di legge con cui superare la richiesta referendaria dell’ostinatissima signora Susanna Camusso. Che ha già minacciato di ricorrere alla Corte Europea contro la Corte Costituzionale italiana, le cui sentenze sono notoriamente inappellabili. E meno male che la segretaria generale della Cgil si è fermata all’Europa, senza spingersi sino all’Onu.
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