La politica si svegli in fretta, o saranno dolori
- Dettagli
- Categoria: Italia
La prima vera partita per il nostro futuro si giocherà col voto francese, dove occorre aggrapparsi a Fillon (ed è tutto dire) per allontanare la minaccia lepenista. Da noi solo noia, tra Renzi "outsider" e i grulli pentastellati
di Lanfranco Pace 8 Gennaio 2017 alle 06:00
Si voterà a marzo, due mesi dopo che la Corte costituzionale avrà apportato modifiche alla legge elettorale sempre che il testo stia in piedi da solo e non abbia bisogno di ulteriori ritocchi da parte del Parlamento? E se no a marzo, a giugno, a settembre, nella primavera del 2018?
Gentiloni for ever o Renzi 2 la vendetta? Il giglio magico sta a pelo d’acqua come un caimano o come un tuffatore rintronato dopo una craniata sul fondo della piscina? E che dobbiamo dire al Grillo garantista, benvenuto al club o Beppe sei una sola? La politica italiana a volte è fatta di epifenomeni, cioè di nulla.
Visto che Mattarella non ha intenzione di sciogliere subito le Camere e che i partiti sono avvinghiati in una plastica melina sulla legge elettorale, la prima partita vera si giocherà altrove, in Francia, dove il 23 aprile e il 7 maggio si terranno le elezioni presidenziali.
Sarà più importante delle elezioni tedesche dell’autunno perché in nessun altro paese europeo le forze anti establishment e anti sistema hanno raggiunto le dimensioni e la forza del Front national di Marine Le Pen, in nessun altro paese un leader radicale è stato sdoganato con così tanto anticipo ed è riuscito a creare varchi fra i moderati e a ottenere consensi da una parte delle élite tradizionali.
Da tempo l’idea che Marine Le Pen possa essere il prossimo inquilino dell’Eliseo non fa scandalo.
Se dovesse vincere, inizierà il conto alla rovescia per l’Unione europea e contraccolpi micidiali si abbatteranno sui partner. A cominciare dall’Italia dove operano i gemelli lepenisti Salvini e Meloni.
Se al contrario al secondo turno ci sarà una convergenza razionale e non estremista di elettori di destra e di sinistra su François Fillon, candidato dei Républicains, sarà lui a vincere: la marea di demagoghi e populisti dovrebbe cominciare a rifluire, il contagio sarebbe fermato.
Siccome qui si fanno chiacchiere e qualcuno addirittura flirta con diavolo, siamo costretti a tifare per un uomo certamente a modo, certamente per bene, ma assai grigio e squisitamente democristiano. Che si debba stare con Fillon, è il segno dei tempi.
NECESSARIA MA NON SUFFICIENTE
La politica italiana non è mai stata di facile comprensione né facilmente spiegabile ai giornalisti stranieri: troppi arzigogoli, svolazzi retorici, pesantezze barocche che mascherano un cinismo rivoltante, troppi intrecci che contribuiscono ad annacquare la responsabilità politica individuale, una fioritura continua di congetture, incisi, subordinate. Galli della Loggia (voto 9) sul Corriere di sabato ha scritto che dobbiamo riscoprire (e rispettare) il principio di autorità, solo che alle nostre latitudini o manca il consenso o manca l’aura dell’autorevolezza. Nessuno dopo De Gasperi è riuscito a coniugare entrambi i requisiti: leader autorevoli non sono riusciti ad avere grande consenso, leader molto amati hanno mostrato di avere idee fuori dal loro tempo e nessuna competenza.
Prodi e Berlusconi avevano la legittimità del consenso ma poca autorevolezza, Prodi per mollezza caratteriale e visione miope, Berlusconi per vanità e debolezza strategica. Monti ha usato un consenso delegato e ha governato grazie a un’immagine di autorevolezza che si è rivelata però inconsistente e fallace, a conferma di quanto siano sopravvalutate le élite del paese e modeste le officine che le sfornano, che si tratti della Luiss, della Bocconi o della Banca d’Italia.
Infine Renzi, l’outsider: non veniva dalla nomenclatura di partito, non faceva parte delle élite, si è conquistato un consenso surrogato, ha costruito autorevolezza con la voglia di fare e la giovanile baldanza. Ma non ha retto l’usura del tempo, la mancanza di spessore l’ha trasformato in una caricatura di se stesso, nel sindaco di paese che promette panchine e aiuole. E’ finito in bolla: resta ancora il miglior nome spendibile nel centro sinistra se va al di là delle mera esibizione del proprio carattere determinato e volitivo, se prende coscienza che contano anche cultura e corazza. Essere autorevole non significa avere qualche buona idea, queste ce le hanno più o meno tutti: ma convincere gli elettori e l’opinione che si sa cosa realizzare, con chi come e quando, insomma che si è padroni di un intero processo.
GRILLI E GRULLI
Beppe Grillo va in vacanza in Kenya da Briatore, la rete si indigna: troppo lusso. Davvero ha avuto una svolta garantista o è tutto una sola, un modo per rafforzare la discrezionalità assoluta di Grillo e instaurare il principio della presunzione di gravità. C’è una cimice in Campidoglio, ma nemmeno a Orfini verrebbe in mente di ascoltare le chiacchiere di una banda così incompetente e inconcludente. L’onorevole Bonafede sgrana i suoi soliti argomenti puerili sul finanziamento della politica e sui compensi dei parlamentari e si fa infilzare come un tordo da quel vecchio marpione di Gianfranco Rotondi. Ormai anche la vita del Movimento è di una noia cosmica, “no non ho detto gioia, ho detto noia” (grande Califfo, voto 10 e lode in memoria).
Litigano tra loro organizzati in correnti. A volte con punte da commedia dell’arte. La “sora” Taverna, intesa come sorella della senatrice Paola Taverna, ha preso di petto la sindaca Raggi più o meno così: "datte da fa, smetti de fregnà, mettecela tutta che sennò t’appennemo per le recchie al filo dei panni". Semplicemente sublime. Voto 10.
Categoria Italia