Storia della nonviolenza infame
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Ci vuole un attacco chimico sterminatore per capire che nel 2017 tocca a noi? La violenza jihadista va fermata, neppure il Papa dovrebbe tralasciare il dovere della verità. Se lo scrivo, sono un mercante di paura?
Polizia turca davanti al luogo dell'attentato ad Istanbul (foto laPresse)
di Giuliano Ferrara 3 Gennaio 2017 Foglio
La violenza è infame, la nonviolenza sublime.
Un Papa deve predicare il sublime, anzi il divino, e l’amore. Gli stati devono proteggere la sicurezza dei cittadini, attuare norme di difesa repressiva e preventiva del terrorismo, eventualmente usare il mezzo della guerra per sradicarlo facendo uso di una violenza incomparabilmente superiore a quella degli assassini e dei nemici. Niente è più naturale e ovvio di questo inizio di articolo. Ma come stanno poi le cose?
I pacifisti a tripla mandata Abbiamo avuto cinque anni per vedere. E duecentomila morti dopo, amate così a occhi chiusi la “pace” da non volere l’uso della forza per fermare il massacro.
Accanto alla prudenza e alla predicazione della pace nei cuori e nelle menti e nello spirito dell’uomo, prudenza eminentemente cristiana, il Papa non dovrebbe tralasciare il dovere e la passione per la verità. Fare le condoglianze e dire che non esiste la guerra di religione non è il miglior modo per onorare millenni di servizio alla verità dei cristiani, fino al martirio.
E’ vero che l’islam non è di per sé terrorista, ma è vero che il terrorismo non è terrorismo, è jihadismo armato, è guerra di matrice islamica dispiegata per stati, gruppi, bande, popoli e individui.
E’ vero che il fondatore dell’islam fu quattordici secoli fa un guerriero e diede della sua predicazione e del suo Dio una versione bellicista ed espansionista, che ha sempre tenuto per nemico principale l’occidente cristiano e gli ebrei. Il pastore dei cristiani, in nome di un credo universalista, evangelico, ecumenico, peserà le parole, userà sempre il bilancino, eviterà di scatenare le coscienze credenti in una logica di rigetto e di paura, evocherà la misericordia per tutti, ma fino a quando potrà abusare della nostra pazienza negando contro ogni evidenza la realtà e privandoci del sostegno della pax Christi, fatta altrettanto della passione di croce e dell’incarnazione del divino nella storia degli uomini?
L’errore “democratico” di aver dimenticato che l’islam è un vuoto politico
Non solo guerra di religione. Sono gli stati che non ci sono
Anche gli stati talvolta papeggiano, fingendosi universalisti, mentre sono entità particolari, elementi in campo nel conflitto tra amico e nemico, titolari del diritto e del dovere di imporre la pace laica che non c’è. Fino a quando abuseranno della nostra pazienza? Ci vuole un attacco chimico sterminatore? Ci vuole l’esperimento del nucleare nella valigetta?
Quando scrivo questo, sono un mercante di paura? Sono un reazionario con pulsioni autoritarie e guerrafondaie? Certo sono il dito fallibile, ma indico la luna o mi sforzo di farlo.
Ci stiamo abituando all’idea che, rifluito che sia lo stato islamico califfale sotto i colpi dei bombardamenti e dei carri armati, nel 2017 tocca a noi.
I combattenti anche europei sono pronti, lo spirito di sacrificio alimentato dal fondamentalismo è immenso, uccidere ed essere uccisi è la via maestra per tanti.
Serve una Guantanamo europea, non le curve del diritto ordinario per combattere una guerra di straordinaria violenza che ha in noi, anonimi nella folla, i suoi principali obiettivi da Berlino a Istanbul, da Parigi a Londra e domani chissà. Bisogna ridisegnare la carta del medio oriente islamico prima che sia troppo tardi, ed esercitare, prima che il vuoto sia interamente colmato da egemonismi cinici di potenze disinteressate alla libertà, il diritto di iniziativa armata e senza limiti. Sono un apocalittico? Un cialtrone che scrive sui giornali? Sì e no. Sono uno che non vuole aspettare il peggio, di cui abbiamo esperito gli scampoli, un ottimista che si è informato.
Non ci sono filtri e allarmi di massima intensità che tengano. La umma musulmana deve essere convinta del fatto che gli infedeli non amano la morte più della vita e dunque non vogliono morire: come corpi, come anime, come civiltà politica. Non vogliono sottomettersi. Non vogliono essere antropologicamente rimpiazzati, preferiscono convivere in pace. Non vogliono vivere il terrorismo jihadista come il prezzo da pagare per un passato coloniale. Non vogliono rinunciare ad amare e a proteggere con i soldi, con la tecnologia, con la diplomazia, con la strategia, con la guerra tutti quei musulmani, bambini vecchi donne e anche maschi in età adulta, che finiscono nel carnaio del jihad. Stay out of Siria, diceva l’insipiente, e lo sventurato Obama rispose. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non sono risultati nonviolenti, sono una carneficina senza frontiere. Ci fu un tempo in cui una coalizione di volenterosi provò a reagire. Ci fu un tempo in cui fu obbligata ad arrendersi di fronte all’evidente stanchezza dell’occidente, alle sue divisioni, ai particolarismi mortiferi, alle bande politiche avverse che in nome del pacifismo facevano guerra a chi aveva il dovere di proteggere un modo di vita sempre meno popolare, sempre più in discussione, ma privo di serie alternative per generazioni a venire. Bisogna prendere atto che la resa non è una scelta possibile. A meno che non si vogliano consegnare sangue terra spirito libertà e civiltà alle avanguardie assassine di un mondo che ci rifiuta e ci minaccia.
Libero padre Enzo Bianchi di dire che a Berlino non ce l’avevano con il valore cristiano del Natale, e neanche a Istanbul con il Capodanno. Autorizzati noi a chiedere che il libero pensiero imponga la sua vigilanza sulle scorrerie fantastiche di un pazzo intonacato.
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