Così il sindacato può contrastare i populismi
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Un modello riformista offre tesi anti Grillo e anti Cgil. Parlano Ichino e Magno
Susanna Camusso (foto LaPresse)
di Alberto Brambilla | 09 Novembre 2016 ore 06:15 Foglio
Roma. L’immagine di un sindacato riformista offerta dal segretario dei metalmeccanici della Cisl, Marco Bentivogli, alla platea renziana della Leopolda domenica scorsa va oltre l’endorsement al referendum costituzionale vitale per il premier Matteo Renzi e osteggiato da altre sigle sindacali. Sul lato economico, Bentivogli vuole contrattare settore per settore, individuo per individuo, per rendere il lavoratore partecipe al profitto e alle strategie aziendali e, sul versante sociale, propone un sindacato attivo nella civilizzazione del lavoro. Un modello utile alle forze politiche intenzionate a contrastare l’ascesa dei movimenti “populisti”.
Il messaggio dei partiti antisistema oppone “la gente” sia all’establishment politico-economico sia ai gruppi non elitari della società, le minoranze religiose, etniche, sessuali; sono entrambe strategie anti-economiche.
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La demonizzazione ideologica del capitalismo industrial-finanziario, della figura dell’imprenditore-manager, rentier e divoratore di stock option, evoca categorie novecentesche proprie della lotta di classe e incoraggia nei seguaci, o possibili tali, una visione pauperista avversa allo scambio di mercato e al progresso, quella della decrescita. Un circolo vizioso per cui le masse meno abbienti tenderanno a imputare la loro condizione al “capitalismo rapace” o alla “globalizzazione”.
Così, anziché seguire vie pragmatiche per approfittare dei mutamenti dei sistemi economici e correggerne le pur presenti storture, gli stessi concederanno il loro consenso ai pifferai populisti che invece propongono le migliori ricette per peggiorare la condizione di tutti. In Italia una retorica del genere accomuna il Movimento 5 stelle alla Cgil di Susanna Camusso o alla Fiom di Maurizio Landini.
Se nel 2010 gli operai dello stabilimento Fiat-Chrysler di Pomigliano D’Arco (Napoli) avessero ascoltato le sirene sindacali della Fiom, probabilmente l’azienda italo-americana avrebbe lasciato il paese. Invece i metalmeccanici della Cisl contribuirono a firmare un contratto aziendale, poi votato a maggioranza dai lavoratori, con il ceo Sergio Marchionne e l’impianto ora è considerato il più effieciente del gruppo. Grazie all’abbandono dal contratto nazionale della metalmeccanica, caro alle centrali sindacali confederali, i dipendenti dello stabilimento campano nel febbraio scorso hanno ricevuto un premio di produttività e qualità che ha incrementato il loro salario fino al 31 per cento. Fca non lascerà l’Italia e promette di assumere tremila persone in più nei suoi stabilimenti italiani entro il 2018.
Per Pietro Ichino, giuslavorista e senatore pd, “l‘antipolitica dilagante è anche la conseguenza di una politica e di un sindacato che continuano a proporre schemi vecchi per la risposta a esigenze che ne richiederebbero di nuovi e molto diversi”, dice criticando un sindacato che antepone elementi ideologici alla massimizzazione dell’occupazione e del potere d’acquisto dei lavoratori. “C’è l’esigenza di promozione del lavoro ‘forte’ – prosegue Ichino – per la quale occorrerebbe un sindacato-intelligenza collettiva capace di guidare i lavoratori nella valutazione dei piani industriali, nell’‘ingaggio’ dell’imprenditore migliore, da qualsiasi parte del mondo venga, e nella negoziazione con lui della ‘scommessa comune’ su un piano industriale buono”.
Altro tratto comune tra Cgil e il movimento dell’ex comico Beppe Grillo è la fascinazione per il reddito di cittadinanza: un sussidio a chi è disoccupato, inoccupato, pensionato o a basso reddito. Idea impraticabile o quantomeno oltremodo gravosa per lo stato. Soprattutto non aumenta l’occupazione e anzi disincentiva la ricerca di una collocazione professionale qualificata; la massima umiliazione della dignità del lavoro.
Anche imprenditori visionari come Elon Musk di Tesla sostengono che presto si sentirà l’urgenza di un reddito per tutti perché robot e intelligenza artificiale falcidieranno i lavoratori umani. Una paura condivisa da Cgil e da M5s. Ma probabilmente eccessiva. I lavori non scompaiono, diventano diversi. I politici dovrebbero dire alla “gente” che se un robot farà il loro lavoro dovranno trovare qualcosa di diverso da fare e magari aiutarli a farlo. Tra i sindacati è ancora la Fim-Cisl ad avere elaborato studi e siglato accordi sindacali transnazionali per incoraggiare in Italia la nascita e lo sviluppo della cosiddetta Industria 4.0 – su cui il governo Renzi ha puntato 13 miliardi euro via incentivi nell’ultima Legge finanziaria – cioè l’interazione tra uomo e macchina nel manifatturiero per aumentare la produttività ed eliminare le fatiche della catena di montaggio fordista di cui qualcuno al Primo maggio di Piazza San Giovanni forse ha un po’ nostalgia.
I movimenti sovranisti, come la Lega di Matteo Salvini, innestano la logica del pregiudizio imputando alle non-élite, alle minoranze, molti problemi attuali. Il rischio è di incentivare la visione di una società divisa in classi e “sotto-classi”: una minaccia per la pace sociale e quindi per la stabilità economica. Secondo Michele Magno, già dirigente della Cgil e del Pci, “più che recitare il mantra dei diritti universali, come fa in particolare la Cgil di Camusso, un sindacato moderno dovrebbe tornare a essere fattore di civilizzazione del lavoro: primato della contrattazione aziendale, più forte contrasto al lavoro nero e al reclutamento illegale di mano d’opera, anche per prosciugare le sacche di sottosalario e di lavoro sottotutelato. Ma qui ancora non ci siamo”.
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