Il capogruppo Pd Zanda si infuria contro la “demagogia” di D’Alema e Monti
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"L’unica cosa che interessa è la risposta alle domande: il governo cade o no? Nel Pd si ribalteranno i rapporti di forza tra maggioranza e minoranza interna? Che fine farà Matteo Renzi come premier?", ci dice il senatore del Partito democratico
Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato
di Marianna Rizzini | 26 Ottobre 2016 ore 14:36 Foglio
Roma. Li vedi attorno allo stesso tavolo, i multiformi volti degli oppositori politici e accademici della riforma costituzionale (come per esempio al convegno su “Ue e riforme” di Stresa, il weekend scorso, organizzato dalla Fondazione Iniziativa Subalpina): e a quel punto è difficile, dice Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato, non sottolineare il fatto che “nessuno, alla fine, parli dei contenuti”.
E così, dopo aver ascoltato e riascoltato in un colpo, tra gli altri, Massimo D’Alema, Mario Monti e Giancarlo Giorgetti, Zanda dice che questa “è proprio una brutta campagna referendaria, in cui non vengono spiegate le ragioni per cui la seconda parte della Costituzione debba essere riformata né vengono illustrate le possibili conseguenze del Sì e del No. L’unica cosa che interessa è la risposta alle domande: il governo cade o no?
Nel Pd si ribalteranno i rapporti di forza tra maggioranza e minoranza interna? Che fine farà Matteo Renzi come premier? Per non dire della disinvoltura con cui vengono usati argomenti di assoluta demagogia”. Esempi? “Prendiamo Giancarlo Giorgetti, parlamentare della Lega Nord molto competente, esperto conoscitore di bilanci dello Stato. Beh: Giorgetti due giorni fa ha detto che la riforma costituzionale, sostanzialmente, porta a una ‘deriva sudamericana’. Ma a me pare incredibile che Giorgetti lo pensi. Sarà la forza attrattiva di Matteo Salvini che gli fa dire queste cose?”.
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E anche se lo sbigottimento (non solo di Zanda) si è focalizzato in questi giorni, più che altro, sull’intervista al Corriere della Sera in cui l’ex premier centrista e tecnico – professor Mario Monti – si è espresso per il No, motivandolo soprattutto con un “no” al modo di “aggregare consensi” attorno al Sì, a sentir parlare Monti dal vivo, dice Zanda, c’era da “stupirsi ancora di più”. Monti, infatti, dice il capogruppo dei senatori pd, “ha accusato il governo di ‘voto di scambio costituzionale’. Ma Monti, professore bocconiano, sa benissimo che il voto di scambio è un reato gravissimo, diffuso nelle zone di mafia o di camorra: non gli pare eccessivo, per dare un giudizio sprezzante, usare una simile terminologia?”.
Dulcis in fundo, alla stessa tavola rotonda c’era Massimo D’Alema, nemico irriducibile della riforma (e di Matteo Renzi) nel Pd: non solo, racconta Zanda, D’Alema se n’è uscito con la frase sul Sì detto dalle “persone molto anziane” che “hanno maggiori difficoltà a comprendere il contenuto di questa riforma sbagliata”, ma “si è anche retoricamente interrogato sul ‘che cosa’ avrebbero pensato Aldo Moro o Enrico Berlinguer di questa riforma, sottintendendo magari che l’avrebbero bocciata.
Ma, a parte il fatto che è impossibile a dirsi, mi sembra fuori luogo chiamare in causa, per accentuare una spaccatura, due tra le più grandi personalità della nostra storia recente, due politici che si sono trovati ad affrontare terrorismo e inflazione a due cifre, e che nonostante le diversità si sono messi a un tavolo, insieme, per cercare di unire l’Italia”.
A Zanda pare poi “sorprendente” che, secondo D’Alema, “la vittoria del No possa servire a riaprire la discussione nella sinistra italiana: non facciamo altro che discutere!
Forse D’Alema vuole dire che la vittoria del No riaprirebbe il discorso sulla leadership nella sinistra italiana?
Questi esempi di oratoria pre-elettorale ci allontanano dal tipo di dibattito di cui c’è bisogno”. Allora anche dal lato Sì bisogna spiegarsi meglio? Per Zanda “è stato fatto da Renzi un errore di personalizzazione, quando ha legato il suo futuro al risultato del voto. Però si è corretto, cosa che non succede spesso. Solo che il fronte del No continua a cavalcare l’argomento. Tra l’altro il vero punto problematico è un altro: l’eventuale vittoria del No darebbe molto da riflettere non solo e non tanto al Governo, quanto a un Parlamento che, nella sua maggioranza, ha votato più volte Sì – e vedrebbe però che il popolo lo contraddice”.
Di fondo, e all’orizzonte, dice Zanda, c’è “quel vento mondiale antisistema che ha colpito la Gran Bretagna e, in modi diversi, tutta l’Europa; una protesta contro i gruppi dirigenti che si traduce in contestazione a decisioni politiche di vario tipo. Anche per questo penso che tutte le persone con la testa sulle spalle dovrebbero continuare a lavorare per tenere unito il paese: un paese instabile perde forza anche in Europa”.
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