Vivere sotto scorta: le storie taciute dei 'Saviano di serie B'

Cronisti. Sindaci. Testimoni. Pure un cuoco. Sotto protezione come lo scrittore, sono trattati «con meno riguardi». Da Cutrò fino a Cavalli: ecco chi sono.

di Enzo Ciaccio | 24 Ottobre 2016 lettera43

Giulio Cavalli durante uno spettacolo teatrale. È sotto scorta dal 2009.

Roberto Saviano, sotto scorta dal 2006.

Michele Albanese, cronista calabrese sotto protezione per aver pubblicato articoli contro la ‘ndrangheta.

Lirio Abbate, capo redattore responsabile della sezione 'Inchieste' de 'L'Espresso'.

Michel Houellebecq, autore del libro 'Sottomissione'.

Sandro Ruotolo, sotto scorta dopo aver ricevuto minacce da Michele Zagaria, boss dei Casalesi.

Al centro Rosaria Capacchione. Vive sotto scorta a causa delle minacce ricevute dalla camorra.

Antonino Bartuccio, ex sindaco di Rizziconi, Reggio Calabria, sotto protezione dal 2011.

Il giornalista del Gruppo Espresso Giovanni Tizian.

A Giuseppe Antoci, il presidente del Parco dei Nebrodi in Sicilia, hanno mirato ai copertoni e all’abitacolo, che essendo blindato ha resistito alle raffiche.

Un attimo di notorietà, poi il silenzio. E la solitudine lassù fra le montagne.

Aicha Mesrar, consigliere comunale marocchina a Rovereto, è fuggita all’estero dopo anni di aggressioni e minacce. Voleva realizzare una moschea, ma l’idea non piaceva a troppi.

Sotto scorta in Italia c’è perfino un bambino di nove anni, figlio di un magistrato nel mirino di un boss. E c’è Mario Caniglia, imprenditore catanese esperto di arance, testimone di giustizia: «Andarmene? No, sono i delinquenti a dover andarsene dalla Sicilia».

SAVIANO SOTTO SCORTA DA 10 ANNI. Si fa presto a dire “sotto scorta”. Roberto Saviano, scrittore e cronista, con gli uomini della scorta convive da 10 anni coltivando la voglia di gustarsi prima o poi «un gelato alla crema e cioccolato» su una panchina nei vicoli a Napoli.

Icona suo malgrado, lo scrittore non ha mai nascosto quanto gli pesi vivere controllato a vista.

Si fa presto a dire scorta. A Casal di Principe vive Marilena Natale, 44 anni, giornalista, che la tutela l’ha rifiutata per anni pur vivendo sotto quotidiana minaccia da parte del clan dei Casalesi.

Proiettili in busta, automobile bruciata, picchiata sotto casa. Ha fatto arrestare chi la minacciava: «Ho detto di no perché non voglio subire restrizioni. Intendo restare punto di riferimento per la gente che mi contatta».

IN CENTINAIA NELLE SUE CONDIZIONI. In Italia - dove “sotto protezione” fino al 2014 risultavano circa 600 cittadini (ma il numero è calato per motivi di spending review) - esistono molti modi di preservare al tutelato gli spazi di quotidiana autonomia.

C’è chi nell’attuale sistema di protezione (che risale al 2002, cioè a dopo l’omicidio del giuslavorista Marco Biagi) intravede perfino una sorta di “logica classista” capace di generare «livelli di qualità e di autonomia non uniformi e a volte calibrati sul ruolo, l’importanza e il livello sociale della persona da proteggere».

Elucubrazioni? Forse. Ma, al di là di Saviano e di pochi altri personaggi pubblici, come vivono “la protezione” i comuni mortali?

Stanno meglio o peggio dei cosiddetti “famosi”? E come se la cava chi la protezione non ce l’ha?

Che sapore ha la quotidianità per gli “altri Saviano”, cioè i giornalisti, gli imprenditori, i commercianti, i testimoni di giustizia sotto scorta che in Italia sopravvivono in solitudine?

Quei cronisti sotto tiro di cui nessuno parla

Tra i cronisti sotto tiro (ma di cui mai si parla) ci sono nomi quasi sconosciuti come Gianni Lannes, direttore del giornale online Terra nostra di Foggia. O Alessandro Bozzo di Calabria Ora. O Angelo Civarella della Gazzetta del Mezzogiorno. O Josè Trovato del Giornale di Sicilia.

A Napoli, Arnaldo Capezzuto ha fatto arrestare i camorristi che lo minacciavano.

E poi Leonardo Rizzo, Agostino Pantano, Angelo Corica, Antonio Sisca e tanti altri, spesso precari e pagati pochi euro a pezzo.

«NON TI SALVA NEANCHE GESÙ CRISTO». Michele Albanese del Quotidiano del Sud i ‘ndranghetisti volevano farlo “zumpare” (saltare) in aria con tutta la macchina.

Lui, che vive a Gioia Tauro ed è sotto protezione, non si pente ma commenta amaro: «Le fonti non mi incontrano più. Mi sento come un appestato. Vivo chiuso tra quattro mura. Mi manca la strada. La mia libertà è svanita».

A Paolo Borrometi, 32 anni, siciliano, direttore di LaSpia.it, il boss che lui poi ha fatto arrestare disse chiaro e tondo: «Non ti salva neanche Gesù Cristo. Il tuo cuore verrà messo nella padella e poi me lo mangerò».

RIMPIANGERE LA PROPRIA SOLITUDINE. Ora Borrometi è sotto scorta, ma continua a raccontare la mafia di Modica. Come Giovanni Tizian, 29 anni, calabrese, che dal 2006 sulla Gazzetta di Modena racconta tra minacce e uomini di scorta il malaffare mafioso in Emilia Romagna.

Storia dura, la sua: quando aveva sette anni, a Locri, la ‘ndrangheta gli ammazzò il papà funzionario di banca.

Sotto scorta c’è anche un attore: si tratta di Giulio Cavalli, 34 anni, l’«Arlecchino scassa-minchia» (la definizione è sua) che sul palcoscenico dà fastidio ai boss che in Lombardia pensavano di poter agire indisturbati. Per lui, tutela dinamica. Cioè, secondo livello. Due uomini armati a far da angeli custodi H24.

Cavalli commenta: «Rimpiango l’atrio di casa, i momenti privati. E la mia solitudine».

In molti hanno perso casa, amici, identità, equilibrio psichico

Per il resto, non sembra che gli intellettuali italiani offrano molti motivi per rendere opportuna la protezione di sè. Al contrario del transalpino Michel Houellebecq, l’autore del best seller Sottomissione in cui racconta della Francia del 2022 quando viene eletto presidente della Repubblica il leader del Partito della Fratellanza musulmana. Houellebecq vive sotto scorta armata.

Renzo Caponetti, imprenditore, vive protetto dal 2005 a Gela in Sicilia.

Se gli si chiede «esiste la mafia?», lui spiega: «Finché non finirà questa politica, non finirà neanche la mafia».

«LA SCORTA? MEGLIO IL PIZZO». Sotto scorta? Dipende. Per l’imprenditore napoletano Davide Imberbe, che dopo aver denunciato il racket dice di essere rimasto solo, «è molto meglio pagare il pizzo». E lo consiglia anche ai colleghi incerti.

Di parere simile è un altro imprenditore, Luigi Leonardi: lui è stato aggredito e poi sequestrato dai delinquenti del racket.

La famiglia, terrorizzata, lo ha abbandonato. Ma per troppi mesi è rimasto senza scorta.

LE SCONFITTE DELLO STATO. Storie di sconfitti. E di sconfitte per lo Stato. C’è chi ricorda Antonino Bartuccio, ex sindaco di Rizziconi, che è sotto protezione: nel 2011 la ‘ndrangheta impose le dimissioni a tutti i consiglieri comunali, che se ne andarono ubbidienti uno dopo l’altro. E la giunta venne sciolta.

O Viviana Balletta, la vedova di Fortunato De Rosa, oculista ucciso a Canolo (in Aspromonte) perché aveva impedito il passaggio sulle sue terre alle cosiddette “vacche sacre”, cioè quelle della ‘ndrangheta. La vedova ora vive a Locri. E coltiva le terre del marito.

«CHI È FAMOSO SE LA CAVA MEGLIO». C’è da chiedersi: che cosa vuol dire la parola “protezione” per uno come Antonino De Masi, imprenditore di Gioia Tauro, che dopo 44 colpi di kalashnikov e un attentato dinamitardo ha dovuto chiudere l’azienda ma è rimasto in Calabria dove però vive blindato con la famiglia?

Ripetono i più critici: «Chi è conosciuto se la cava meglio. Ed è trattato - anche - con più riguardi».

In molti, entrati nel programma di protezione, hanno perso casa, amici, identità, equilibrio psichico: Lea Garofalo, moglie di un boss della ‘ndrangheta, è stata uccisa nel 2009. Piera Aiello e Giuseppe Carini sono due fra i tanti che hanno cambiato identità e non si sa più dove siano.

Gli uomini si alternano in funzione di «altri e più importanti impegni»

Poi c’è chi è rimasto a casa sotto minaccia: Tiberio Bentivoglio a Reggio Calabria. O Nello Ruello a Vibo Valentia.

Giuseppe Cutrò, 23 anni, figlio di Ignazio, un imprenditore e testimone di giustizia di Bivona (Agrigento), ha scritto che per quelli come lui, che «non sono famosi», gli uomini della scorta si alternano spesso in funzione di «altri e più importanti impegni»: «Quando in zona arrivano i politici da tutelare», confessa, «gli uomini della scorta cambiano e ho la sensazione di essere protetto da bravi ragazzi in divisa più giovani di me, che non sono specializzati e forse non saprebbero dove mettere le mani in caso di bisogno».

Laura Roveri, 25 anni, veronese, è stata oggetto di 25 coltellate dal suo ex, Enrico Sganzerla.

All’uomo, dopo 15 mesi, sono stati concessi gli arresti domiciliari. Lei ha ottenuto la scorta. E vive da reclusa.

UN CUOCO SOTTO PROTEZIONE. Natale Giunta, 34 anni, è l’unico cuoco al mondo che vive scortato: da Termini Imerese a Palermo, ha sempre rifiutato di pagare il pizzo. Ha aperto tre ristoranti in America. E ha fatto arrestare i suoi ricattatori. Pentito? Chi lo conosce avverte: «Può permettersi di non esserlo».

Pietro Parisi, chef di fama internazionale di Palma Campania, ha denunciato in questi giorni su Facebook e ai carabinieri i ragazzotti che andavano a chiedergli il pizzo al ristorante. Molta pubblicità, per ora. Già, ma i rischi? «Mi hanno assicurato che avrò assistenza».

Anche Salvatore Castelluccio, parrucchiere di Napoli, ha denunciato i camorristi che chiedevano soldi. Ma se ne è pentito. E confessa: «Sono rimasto senza clienti, senza aiuti, senza protezione (fino a qualche giorno fa, ndr). Ho perso tanti di quei soldi che mi sarebbe convenuto pagare la camorra invece di denunciare».

LA TUTELA FA STATUS SYMBOL. Politici, ambasciatori, sindaci, amministratori locali: quanti sono? Per La Repubblica, i giornalisti italiani sotto scorta sarebbero tra i 30 e i 50, cioè molti di più di quelli denunciati da Ossigeno, l’associazione che ha addirittura un contatore online che segnala ogni nuova aggressione ai danni di chi scrive (dal 2006 sono 2.300 i cronisti minacciati).

Saviano, ma poi anche Sandro Ruotolo, Rosaria Capacchione, Lirio Abbate e qualche altro che va spesso (forse troppo) in tivù a raccontare «quel che si prova» o che è convinto di stra-meritare la scorta «… ma invece a me niente e chissà perché».

Per le scorte, lo Stato impegna centinaia di uomini e vetture. Tagli su tagli, ma le spese restano alte.

La tutela, per i politici e non solo, fa ancora status symbol. E dall’estero ci guardano infastiditi. Meno male che non sanno che nessuno ha mai concesso la scorta, per esempio, a Matilde Sorrentino, mamma di un bimbo violato dai pedofili di Torre Annunziata, ammazzata in casa sua nel 2004 dai criminali che aveva denunciato.

O a Teresa Buonocore, storia identica di pedofili e vendetta. La uccisero nel 2010 quelli che lei aveva mandato in galera.

Twitter @enzociaccio

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