Nelle pieghe del Def, si spinge il risparmio a sostegno della crescita
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Nella Stabilità dominano pensioni e clausole di salvaguardia. Ma c’è un’idea per far latitare meno il capitale di rischio
Matteo Renzi con Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)
di Marco Valerio Lo Prete | 06 Ottobre 2016 ore 06:07 Foglio
Roma. “In assenza della crisi la crescita in Italia tra 2008 e 2015 sarebbe stata più elevata di circa 1,5 punti percentuali all’anno, risultando lievemente positiva”. Questa la magra, magrissima consolazione offerta ieri dal vicedirettore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, intervenuto a Roma a un convegno organizzato dal Messaggero. La crisi comunque in Italia, come in tutto il mondo, c’è stata eccome fin dal 2008.
Oggi il problema è che nel nostro paese, otto anni dopo Lehman Brothers, la ripresa c’è ma si vede appena. Basti dire che da giorni il governo, le opposizioni e i previsori terzi si azzuffano su un decimale in più o in meno di pil previsto.
Anche nella legge di Stabilità in via di ultimazione si contano sulle dita di una mano gli interventi apertamente propulsivi dello sviluppo; nel complesso avrebbero un impatto positivo sul pil dello 0,4 per cento nel 2017, secondo il governo, e la parte del leone la farebbero gli aumenti di spesa per le pensioni (sul lato della domanda) e la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia (Iva inclusa).
Un altro capitol(ett)osviluppista è quello degli sgravi sui salari di produttività, con uno stanziamento di circa 500 milioni di euro. La legge di Stabilità, infine, sarà l’occasione per far decollare una misura di rilancio del finanziamento alle imprese che passi per canali alternativi a quello bancario. Il progetto, anticipato dal Foglio la scorsa primavera, fu abbozzato dal gruppo “Finanza per la crescita”, un coordinamento avviato nel 2014 tra ministero dell’Economia, ministero dello Sviluppo economico e Banca d’Italia.
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Da quel momento il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha preso a cuore il dossier e lo ha portato avanti, in cerca di coperture finanziarie e non solo, coadiuvato in particolare da Fabrizia Lapecorella (direttore generale delle Finanze) e Fabrizio Pagani (capo della Segreteria tecnica del ministro).L’idea di fondo è quella di “un significativo incentivo fiscale finalizzato a canalizzare il risparmio delle famiglie verso gli investimenti produttivi in modo stabile e duraturo, facilitando la crescita del sistema imprenditoriale italiano”, come si legge nella relazione illustrativa visionata dal Foglio e allegata ai 15 commi dell’articolato. Per fare ciò si prevede “l’esenzione dall’imposta per i redditi di capitale e per i redditi diversi di natura finanziaria percepiti dalle persone fisiche al di fuori dell’impresa quando investono nel lungo termine”.
I Piani di risparmio a lungo termine (Pir) dovranno soddisfare alcune condizioni per essere defiscalizzati. La durata dell’investimento, per esempio, dev’essere pari ad almeno cinque anni.
Le somme dei Pir devono essere investite per almeno il70 per cento in strumenti finanziari, anche non negoziati in mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese che svolgono attività diverse da quella immobiliare.
Tale quota del 70 per cento deve a sua volta essere investita per almeno il 30 per cento in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib o in indici equivalenti. Inoltre non più del 10 per cento dell’investimento può essere concentrato sullo stesso soggetto. Nei colloqui intercorsi durante l’estate con la Commissione europea per valutare l’eventuale presenza di aiuti di stato, il governo italiano ha dovuto abbandonare l’idea di condizionare lo sgravio alla dimensione “media” delle imprese beneficiarie dei finanziamenti, quelle cioè con un fatturato fino a 300 milioni di euro. Mentre è ancora in discussione se gli Organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr), anch’essi incentivati, debbano essere residenti in Italia o in tutti gli stati dell’Ue. Nel frattempo l’esecutivo sta pensando di rafforzare il quantum delle somme investite agevolabili, portandole da 30 mila a 50 mila euro (quindi 250 mila nei cinque anni). Nel 2017 l’ammanco di gettito fiscale sarebbe pari a 18 milioni di euro, per arrivare a quasi 200 milioni nel 2021, quando il governo si attende 360.000 nuovi piani di investimento. Ecco un modo per tentare di far uscire dalla latitanza il capitale di rischio italiano.
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