La dura vita delle riforme, 20 anni di fallimenti tra lobby e opposizioni
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Dalla giustizia alla scuola: il Paese che non cambia.
02/10/2016 MATTIA FELTRI LA STAMPA
Introduzione all’attitudine italiana al cambiamento: secondo Renato Brunetta, la riforma della pubblica amministrazione di Marianna Madia è «un grande imbroglio»; secondo Marianna Madia, la riforma della pubblica amministrazione di Renato Brunetta era pensata «contro i pubblici dipendenti»; per la sintesi della Cgil, la riforma di Madia è «un aggiustamento di cosucce», quella di Brunetta il prodotto di un «megalomane paranoico».
Lo schema è perfetto: l’opposizione di destra contro la maggioranza di sinistra, l’opposizione di sinistra contro la maggioranza di destra, le corporazioni in declinazione sindacale contro tutti. In calce il lamento globale: in Italia non cambia mai niente. Infatti le riforme sono tutte necessarie e tardive «purché», «a patto che» e «a condizione che», dove patto e condizione è che riguardino gli altri.
La riforma/abolizione delle province non piaceva alle province e ai sindacati dei lavoratori delle province perché racchiusa in «interventi legislativi scoordinati», perché «un’anomalia in Europa», perché «confusa, pasticciata, sbagliata», perché «accentrerà la spesa pubblica», perché «produrrà solo caos», perché «poco coraggiosa» e soprattutto perché le province erano indispensabili per «rilanciare il valore di prossimità territoriale», qualunque cosa voglia dire.
La liberalizzazione dei taxi ha inquietato i tassisti («riforma omicida»), quella dei commercialisti ha inquietato i commercialisti medesimi («progetto scellerato»), quella delle farmacie ha inquietato i farmacisti di città («a rischio le farmacie nelle città») e i farmacisti di montagna («a rischio le farmacie montane»). E non è mai una questione egoistica, anzi, altamente sociale.
La riforma dei musei va a discapito «dei visitatori», quella dei dentisti compromette la «riabilitazione masticatoria degli anziani», quella dei benzinai favorisce «la potente lobby dei petrolieri».
Il nostro capitolo preferito è sulle mille riforme della giustizia. Nel 1997 l’attuale segretario del sindacato dei magistrati (Anm), Piercamillo Davigo, spiegava che «non risolve i problemi, anzi li aggrava»; nel 2004 spiegava che «non aumenta la nostra professionalità, semmai la diminuisce». Per Antonio Di Pietro, non erano riforme ma «un colpo di mano», «una vendetta», «un inciucio», «una deformazione dello stato di diritto», «una truffa mediatica», «un provvedimento criminogeno». Per il sindacato, «inefficace», «un attentato», «punirà i giudici», «pericolo fascista», «gravissima», «regolamento di conti», «incostituzionale», «ingestibile», e per fare sintesi se ne deve pensare «tutto il male possibile» e «va rivista tutta». In genere gli avvocati si limitano a scioperare, ma soltanto se la riforma riguarda gli avvocati.
E non è male nemmeno la storia delle riforme scolastiche. Quella di sinistra di Luigi Berlinguer non piaceva a Gianfranco Fini: «Va restituita dignità ai docenti», disse naturalmente a un incontro coi docenti. Quella di destra di Letizia Moratti aveva un obiettivo: «Si vogliono regionalizzare gli insegnanti». Quella di Stefania Giannini l’obiettivo opposto: «Si vogliono deportare gli insegnanti». Ogni santo autunno delle nostre vite è attraversato da cortei di studenti che protestano contro qualsiasi riforma perché qualsiasi riforma fa della scuola un’azienda, e «la cultura non si commercializza». Seguono prese di posizione di Cgil, Cisl e Uil del comparto di pertinenza. «Tutto sbagliato». «E’ tutto da rifare». «Riforma da abolire». «Grosso pasticcio». «Si scommette sull’ignoranza». Perfino un «si smantella lo stato nazionale» (e una riforma non piaceva al leghista Francesco Speroni «perché non è federalista»).
Ci siamo limitati a qualche rapido virgolettato dei milioni raccolti nel corso della Seconda repubblica. Nemmeno osiamo mettere gli occhi sulle riforme del lavoro, delle pensioni, della sanità, del welfare.
Non abbiamo dettagliato sulle sottocategorie cattoliche delle varie corporazioni - tipo i notai cattolici - che si sono opposte allo «stravolgimento della famiglia» in una delle tante proposte di riforma con risvolti etici. Forse è più istruttivo dare qualche spazio allo scandalo sollevato negli interessati dalla riforma del terzo settore («è senza anima»), delle guardie mediche («ha superato ogni limite»), dell’editoria («incompleta»), della Rai («dalla padella alla brace»), della tv («pasticciata»), della polizia («precipitosa e insensata»), dell’università («effetti devastanti»), dei porti («va nella direzione sbagliata»), dei produttori di vino («inaccettabile»), dei produttori di zucchero («occorre cambiare tutto»), degli operatori del settore del tabacco («effetti dirompenti») e, siccome tocca concludere, lo scandalo sollevato dalla riforma del Coni nella Federazione autonoma pugili, che nel 1999 chiedeva «più rappresentanza» per i suoi iscritti. I pugili l’avranno spuntata, supponiamo.
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