E ora il circo a 5 stelle

Bocciato Alessandro Di Battista che è convinto che in politica paghi essere sguaiato e strafottente; promosso l’assessore all’urbanistica di Roma Paolo Berdini che era favorevole a raccogliere la sfida delle Olimpiadi; promosso Giovanni Malagò che non è un coatto ma è sicuramente assai vendicativo. Beppe Grillo e Davide Casaleggio sul palco a Palermo (foto LaPresse)

di Lanfranco Pace | 25 Settembre 2016 ore 06:28

COMICI SOTTO LA TENDA DEL CIRCO: PERPLESSI

E’ in corso in Sicilia la kermesse dei comici del Circo a Cinque stelle. Conducono Rosita Celentano, vegana (voto 4). E Claudio Gioè, attore in via di perdizione (voto 6 per la sua magistrale interpretazione del Capo dei capi, Totò Riina).

Gli altri, tutti gli altri convenuti, sono molto meno interessanti, con quarantotto ore di anticipo si può dire quello che diranno. Non faranno autocritica come la protagonista del film di Alexander Kluge, non ammetteranno che non si possono fare grandi passi né dare grandi scosse in un colpo solo e che quindi mandare a quel paese Roma olimpica, Malagò e Montezemolo non è stata una grande idea. Ne saranno invece fieri, si complimenteranno l’un l’altro per aver sconfitto cricche e poteri, si sentiranno meravigliosi, uniti e compatti come non mai.

Non so se la sindaca annuncerà proprio in questa sede le nomine che mancano per completare la giunta, in particolare l’assessore al bilancio. Sarebbe comunque poco serio dirlo davanti ai 5 Stelle e non ai diretti interessati, i romani. La ventilata candidatura di tal Tutino, ex magistrato in pensione, rende ancora più inquietante la situazione che a causa della paura e della inadeguatezza della politica vede un esercito di toghe infilarsi negli ingranaggi essenziali della vita amministrativa.

I romani dovranno cominciare a rassegnarsi ad anni di magra, a lavori che potevano essere fatti e non si faranno.

Sarà un antipasto di quello che accadrebbe al paese se i teorici della dolce decrescita  andassero al governo centrale.

IL BALLO DEL MATTONE

No alle olimpiadi del mattone? Ma cosa hanno contro il nobile laterizio, a Roma non c’è mai stata una Fiat, il mattone è vita, speranza, reddito e potenziale bellezza:  e non è perché si è costruito a cazzo di cane, non si debba più costruire. Sarebbe una follia. E poi ci sono buchi nel tessuto urbano periferico che solo l’organizzazione di un grande evento avrebbe potuto colmare con assennatezza e un minimo di senso estetico.

L’assessore all’urbanistica Paolo Berdini che sbagliando credevo un pasdaran del rifiuto era invece favorevole a raccogliere la sfida, a correre il rischio (voto 9). Evidentemente, con quel minimo di ottimismo indispensabile per governare, pensa che fra otto anni Roma sarà presentabile e risanata e quindi in grado di ospitare degnamente i Giochi. E poi basta con questa storia che tutte le città ci hanno rimesso dei soldi. E’ da bottegai, tanto varrebbe abolirle, le Olimpiadi.

Nel 2025 ci sarà il Giubileo, altro evento dal sapore universale e bisognerà provvedere a bretelle, sottopassi, parcheggi e posti letto. Quindi mattoni, cemento. Ma questo evento non lo può cancellare nemmeno il Papa.

Berdini non potrà reggere a lungo, nell’organigramma del comune si aprirà presto un altro buco.

EUROPEI

 

Si terranno invece a Roma quattro partite dell’Europeo del 2020, che per puro sadismo l’Uefa (voto 4) ha deciso che sarà itinerante. Per quella data ci sarà solo l’Olimpico o anche lo stadio della Roma? Ho l’impressione che il gioviale e positivo presidente Pallotta si stia facendo prendere per i fondelli e possa finire scornato come Malagò.

PIU’ CHE COATTO CAZZUTO

Al solito il teppista Di Battista non perde occasione per essere sguaiato e strafottente, convinto che in politica paghi (voto 2). Malagò (voto 8) non è un coatto ma è sicuramente assai vendicativo. Non è facilmente ricattabile, è ricco di suo, sotto la copertura dello sport ha intrecciato rapporti trasversali in tutti i circoli che a Roma contano. Nella simbologia grillina non è un potere forte, non è il Vaticano, non è Caltagirone con il suo Messaggero, non è un costruttore, non ha voti e non ne porta. Ma è amico di tutti, sa fare sgambetti, seminare trappole, insomma se vuole può rompere i coglioni, questo sì eccome. E poi l’insulto gratuito, lo sgarro, lei che se ne sta in trattoria e si presenta direttamente alla conferenza stampa, sorridente e giuliva come se avesse buone notizie da dare, non è cosa che un Malagò possa mandare giù facilmente. E’ un fortissimo giocatore di gin rummy, al tavolo verde è sempre stato vincente e molto molto cattivo. Fossi dei 5 Stelle starei in campana.

STRAMILANO

L’ultima chicca sul referendum viene dal vice direttore dell’Espresso, Marco Damilano. Ospite di Formigli ha detto che ci sono mille Italie, mille dolori, mille speranze che rifiutano di farsi schiacciare nell’alternativa tra un sì e un no e si riconoscono in una larga gamma di sfumature. Parole ispirate. Ma si tratta di un referendum imposto per altro dalla Costituzione e i referendum hanno vocazione a essere maledettamente binari, 01, o si resta a casa o si va a votare. E se si vota si può votare sì o no. Le tante sfumature della realtà, alla prossima.

RENZI VS. TRAVAGLIO

Non se l’è cavata al meglio il premier (voto 6) ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo e confrontato a Marco Travaglio. Ha girato lento, ha montato gomme da asciutto quando ormai piove che dio la manda e gli avversari non perdonano più nulla. Travaglio è saltato di palo in frasca, è sembrato più un contraddittore politico ansioso di menare calci che un giornalista ma ha fatto comunque il suo dovere. Per lunghi tratti il premier è apparso sulla difensiva, spesso ha scelto repliche non convincenti e battute non felici, è stato eccessivamente tollerante, ritrovando una buona verve solo nel finale, quando anche le ruote dell’interlocutore (della padrona di casa) erano a brandelli.

Una volta dava il meglio di sé nel contraddittorio, su un palco o in uno studio televisivo ma i tempi sono cambiati e il potere sfianca anche un giovanotto energico.

Non credo che gli convenga il faccia a faccia, soprattutto con le facce da schiaffi. Ora Travaglio dà sempre l’impressione di essere documentato e preparato, non importa se è vero o no, contano l’aria compunta del sabaudo, il sorriso da primo della classe che non ti guarda mai negli occhi: è il principe delle facce da schiaffi, (voto 8) e andava affrontato come a suo tempo fece il Cav. Per i tempi che corrono non c’è bisogno di leader che si prestino al battibecco ma che prendano dell’altezza e indichino una strada. E non solo su referendum e legge elettorale.

NON DIRE CAV.

Siamo alle solite, il Cav. con una mano fa e con l’altra disfa. La convention di Parisi a Milano gli è piaciuta poco, troppo lunga per i suoi gusti, prolissa, troppo professorale, pochi volti nuovi da gettare nell’arena, anzi nessuno, pochi imprenditori. E la sgradita presenza di qualche fuoriuscito che timidamente sembra avanzare sulla via del ritorno. Due giorni poi, piuttosto si sarebbe fatto ricoverare di nuovo al San Raffaele. Quindi per la convention di Forza Italia a metà novembre, si cambia formato, mezza giornata, sarà lui ad aprire e a chiudere, due botte e via. E’ il capo, è il dominus. E qui comando io e questa è casa mia, è quanto ha detto più o meno ai suoi e a Salvini uscito rinfrancato dall’incontro di Arcore. Ma non è il 1994 e nemmeno il 2004 con il tripudio di bandiere per la festa del decennale. Qui rischiano di sventolare solo Brunetta, Toti e Romani (voto 4) e altri pochi miracolati in cerca di sopravvivenza. A giocare su due tavoli nemmeno i grandi giocatori possono vincere sempre.

Categoria Italia

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