Rai, Renzi 'molla' Campo Dall'Orto: il nodo referendum

Il direttore generale finisce nel mirino del governo. Pesa il flop della terza rete. Con Renzi che teme una La7 sempre più forte. In vista del voto sulle riforme.

di Renato Stanco | 22 Settembre 2016 lettera43

Fino alla sera del 20 settembre era solo un gossip, una frase buttata lì nel bel mezzo dei chiacchiericci a margine dei lavori parlamentari. Ora è diventata una certezza.

«Sulla Rai ci siamo sbagliati», ammettono dalla maggioranza, «abbiamo nominato le persone sbagliate».

E se nel mirino delle forze politiche che sostengono il governo Renzi non ci sarà tutto il “pacchetto” di nominati, è pur vero che il vertice aziendale è ufficialmente sotto schiaffo.

TANTE SPINE PER IL GOVERNO. La bordata dell'Anac sulle 21 assunzioni esterne giudicate inopportune (rafforzata dalla sentenza del giudice del lavoro che ha condannato la Rai per comportamento anti-sindacale in relazione a quella di Gianluca Semprini), il crollo negli ascolti, il canone in bolletta che non sta portando nelle casse pubbliche i soldi sperati: sono solo alcuni dei temi del dossier che gli esponenti del Pd stanno scrivendo in queste ore.

E una Rai sotto attacco mette in seria difficoltà sia la maggioranza sia il governo.

ANZALDI BASTONA CAMPO DALL'ORTO. A dare voce a questo disagio sempre più evidente è il deputato del Pd Michele Anzaldi, megafono dei malumori di Palazzo Chigi nei confronti della tivù pubblica.

Quando parla lui significa che nel ristretto, e sempre più chiuso, cerchio gigliato del premier il livello di guardia è stato superato.

«L’amministratore delegato della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, va commissariato», tuona il membro della Commissione di Vigilanza sulla sulla Rai, «fa solo gaffe. Taglia conduttori e perde ascolti. Pasticcia su contratti. E si espone alla magistratura contabile. Non ne imbrocca una».

RENZI PENSA AL REFERENDUM. Un attacco che non ha precedenti nella decennale storia dei rapporti fra l’emittente di Stato e il suo azionista di riferimento, ovvero il parlamento.

La sconfessione di colui che è stato indicato proprio dal premier è il segno tangibile di quanto Renzi abbia a cuore le sorti della Rai. Soprattutto in vista della consultazione referendaria. E proprio per questa ragione Anzaldi s’incarica di alzare il ponte levatoio fra viale Mazzini e Palazzo Chigi.

«Gli sono state date le chiavi di casa e lui ha bruciato la casa», rincara la dose, «Renzi non c’entra. Campo Dall’Orto non è un uomo del Pd, era solo quello con il miglior curriculum».

Sono lontani i tempi della Leopolda

Come cambiano in fretta in tempi. E come ingialliscono subito certe foto.

Come quella che ritrae il numero uno di Viale Mazzini sul palco della Leopolda, la kermesse fiorentina di Renzi dove si fanno le promozioni e si sanciscono le bocciature.

A mettere all’indice Campo Dall’Orto, sempre più in bilico, ha contribuito Daria Bignardi, direttore di Rai Tre sull’orlo di una crisi di nervi.

L'OMBRA DI LA7 SU RAI TRE. Il flop di Politcs, il programma del martedì sera che avrebbe dovuto far rimpiangere Ballarò e il silurato Massimo Giannini, incapace di superare il 3% di ascolti già dopo tre puntate, e la non proprio brillante gestione dell’intera rete sono elementi concreti sui quali governo e maggioranza hanno iniziato a riflettere.

Con il crollo generalizzato dello share e la sostanziale altalena nel palinsesto, all’intero del quale è difficile trovare un filo conduttore, La7 rischia di prendere il largo, offrendo alla sponda anti-renziana il margine per fidelizzare nuovi ascoltatori. I quali possono rivelarsi dei validi supporter del no al referendum.

TALK, IL PREMIER FA DIETROFRONT. Anche se in ritardo, lo stesso Renzi avrebbe ammesso con i suoi fedelissimi che il controllo del Tg1, ottenuto grazie alla politica del bastone e della carota attuata nei confronti del direttore Mario Orfeo, non è una garanzia sufficiente per avere una informazione uniformata alle veline di Palazzo Chigi.

La consapevolezza che i talk show non sono affatto morti, dopo averli dati per tali per un’intera stagione, avrebbe indotto il premier a cambiare strategia.

NELLA TANA DEL NEMICO. Con molta probabilità Matteo accetterà di andare ospite anche nelle tane del nemico, Giovanni Floris e Corrado Formigli in testa, soprattutto a ridosso del referendum.

Gli esperti di comunicazione lo avrebbero convinto del fatto che a sinistra non ci sono più voti da recuperare.

Anzi, ogni uscita alle feste de L’Unità e la continua rissa verbale con Massimo D’Alema rischiano di erodergli consenso.

Meglio provare a drenare voti nell’area del centrodestra e nella galassia anti-renziana, ancora affezionata a una certa idea di tivù.

Categoria Italia

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