Il Patto di Grillo con Virginia, e la partita nel M5S: “Basta col Movimento legato ai poteri”

Muraro resterà solo per poco. Lo stadio della Roma rischia

22/09/2016 JACOPO IACOBONI LA STAMPA

La messinscena di ieri aveva uno scopo, offrire ai clic virali il video di un Movimento tornato movimentista: una precisa richiesta di Beppe Grillo.

Però il cuore del problema odierno va molto oltre Virginia Raggi, e riguarda la vera partita dentro il M5S di queste ore: la strada da prendere è il Movimento istituzionale-lobbista di Luigi Di Maio, o un Movimento in qualche modo, magari anche solo retoricamente, legato alle origini, che sa dire alcuni no?

Che sia la Raggi a vestirne i panni oggi è dettato da ragioni puramente accidentali: ciò che conta è la partita di fondo. È qui che entra in gioco Grillo. 

Perché dietro questo dilemma c’è, appunto, (anche) lui. Ma non solo. Il fondatore è stato costretto a tornare in scena da mille diversi motivi, e l’aveva già fatto il giorno dell’addio di Minenna, stringendo un preciso patto con Virginia Raggi: io ti aiuto a scrollarti di dosso le faide dei leaderini e delle donne che ti odiano, tu non mi deludere. «Basta coi poteri, noi ti aiutiamo».

I termini del Patto però sono strutturali: prevedono il no alle Olimpiadi; l’accantonamento della Muraro (verrà utilizzata a breve, per districarsi nel delirio-Ama, ma poi Raggi la metterà da parte appena possibile); infine - attenzione - anche il dossier sul nuovo stadio della Roma è visto con insofferenza da Grillo, che ci scorge a priori solo il rischio di un boccone per il partito degli affari.

È per questo che ieri lui era molto contento, «Virginia sei stata bravissima», le ha detto al telefono; ma è da un po’ che è di nuovo in campo, anche se non nel senso banale di aver imposto alla Raggi la scelta. Il pacchetto è più ampio. Certo, il 9 settembre sul blog è apparso un post che lasciava pochissimo spazio ai Giochi; ma è anche vero che il no ai Giochi, nel giro reale della Raggi, non è mai stato messo davvero in dubbio fin dall’1 settembre. Il ruolo di Grillo sta comportando semmai il sistematico contenimento delle smanie anti-Raggi di tutte le sue nemiche, e un progressivo indebolimento di colui che s’era autonominato candidato premier, cioè Luigi Di Maio.

È così che si è giunti a un evento per dire no al grande evento: questo è stata la buca di Virginia Raggi a Giovanni Malagò.

Una messinscena, questa o un’altra, era stata del resto studiata (era da giorni che si organizzava qualcosa di «mediaticamente eclatante»), e serviva a due cose. Uno, dare ai fan l’immagine della sindaca che si erge contro i poteri forti e impone loro umiliante anticamera (in altre parole, un’arma di distrazione di massa). Due, a farsi vedere di nuovo originari e puri

Detto in altre parole, Grillo è una specie di ago della bilancia di una partita cruciale in corso, che non è la Raggi in sé, ma è: che tipo di Movimento deve tentare la corsa al potere, un Movimento-più-Movimento o il Movimento-partito?

Dire no alle Olimpiadi, al momento, era l’unica strada per tenere insieme questa sfida in corso senza che si sfasciasse tutto ancora prima della kermesse di Palermo, Italia 5 stelle. Ma di certo se dovessimo indicare la direzione adesso, la linea istituzionale sta perdendo. Ha incassato colpi molto duri. Né si può dire che il suo massimo alfiere Di Maio - dall’affare Muraro e non solo - l’abbia gestita adeguatamente. Nello stesso tempo non vincono, anzi, le erinni anti-Raggi, tutte animate da motivi non esattamente nobili. È ancora presto per capire se possa essere Roberto Fico a incarnare questo desiderio (forse utopico, ma esistente) di ritorno alle origini. Certo è che è stato lui a rompere gli indugi quando ha detto, giorni fa, «le rivoluzioni a metà sono peggio dei partiti». Non si riferiva a Virginia Raggi.

Categoria Italia

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