La contraddizione è Chiara
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Perché per l’assessore condannata di Torino non vale l’“onestà”?
di Redazione | 01 Luglio 2016 ore 06:18 Foglio
Gridavano “onestà, onestà!”, i trinariciuti del moralismo grillino, la notte in cui Chiara Appendino venne eletta sindaco di Torino. Poi il neo sindaco si ritrova a scegliere un assessore all’Istruzione condannato nel 2012 dal giudice di pace perché bluffava sulla retta dell’asilo nido, per ottenere uno sconto non dovuto: la signora Federica Patti. E adesso, anziché pronunciare frasi senza costrutto, come una vecchia democristana, “non c’è nessuna polemica, fa parte della squadra e io sono orgogliosa di averla come assessore”, il sindaco cinque stelle farebbe bene a non chiamarla in Giunta, o a cacciarla, se ha già firmato la nomina. Questione di “onestà”, intesa come criterio magico della politica: come vuole il partito di cui fa parte, come vogliono i suoi militanti urlatori di piazza. Questione di decenza e coerenza.
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La storia, ovviamente, è la più cretina che si possa immaginare. E’ una storia così minima e insignificante per la politica che non dovrebbe nemmeno essere presa in esame, in un paese normale. In un paese, cioè, che non avesse subìto un trentennio di pm d’assalto, e fosse libero dai Beppe Grillo. E, forse, non fa nemmeno onore al Pd averla tirata fuori, se non per un sacrosanto punto di polemica. Perché il Movimento cinque stelle – che chiede per tutti (gli altri) le dimissioni anche senza avviso di garanzia, e la decadenza dagli incarichi prima ancora non di una condanna, ma di una chiusura di indagini – quando lo schizzo di fango colpisce loro, allora niente. Allora “onestà” non conta più. Allora ciaone legalità.
Allora “sono orgogliosa di averla come assessore”. Chiusi peggio della “casta”. Una contraddizione politica, un doppiopesismo autoassolutorio imbarazzante, che del resto è l’unica risposta che i Cinque stelle riescono a dare ogni volta che (sempre più spesso) l’“onestà” gli si sbrodola addosso. O serve ricordare il caso di Josefa Idem, campionessa olimpica, assessore a Ravenna, nominata nel 2013 ministro per le Pari opportunità, lo Sport e le Politiche giovanili nel governo Letta? Oggetto di una campagna “all’onestà” parimenti ridicola, su presunte irregolarità nel pagamento di oneri previdenziali, Ici e Imu – tutto sanato, chiaro – costretta a dimettersi ancor prima che il Senato votasse una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Assieme alla Lega, l’aveva presentata il Movimento cinque stelle. La contraddizione è chiara. Con la minuscola e pure la maiuscola.