I media perdonano tutto ai cinquestelle

Virginia Raggi, candidata grillina a sindaco di Roma, ha dovuto firmare un contratto che la impegna a pagare una penale molto alta e a dimettersi in caso arrechi un «danno di immagine» al Movimento

 di Domenico Cacopardo Italia Oggi 19.5.2016

Mentre la vicenda Pizzarotti si sta avviando all'inevitabile soluzione (espulsione dal Movimento 5stelle e, in caso di rinvio a giudizio, dimissioni ed elezioni anticipate), a Roma, e in qualsiasi luogo ci sia un candidato del Movimento, la campagna elettorale si sta sviluppando con una inaccettabilerimozione. I media, che non si lasciavano sfuggire una rumorosa soffiata di naso di Berlusconi, soffrono di ontologica distrazione su quanto riguarda i grillini, quando, come nel caso di Lilli Gruber, che si è trasformata, da vestale della sinistra più radicale e giustizialista, a fan di Grillo, Scanzi e Travaglio (un passaggio dai piani nobili agli scantinati della politica) e dei dioscuri dagli ascolti fallimentari Giannini&Floris, dimenticano la montagna di osservazioni che potrebbero essere formulate al Movimento e alle sue escursioni lontano dalla democrazia, verso la teoria e la pratica nazifascista, razzismo compreso.

Virginia Raggi, candidata grillina a sindaco di Roma, ha dovuto firmare un contratto che la impegna a pagare una penale molto alta e a dimettersi in caso arrechi un «danno di immagine» al Movimento e, una volta eletta, a far approvare preventivamente allo staff di Beppe Grillo tutti gli atti amministrativi di una certa importanza. Questi impegni sono illegali e illeciti e delineano un candidato e un sindaco eterodiretto, indipendente dal consiglio comunale e dalla volontà dell'elettore popolo «bue». Chiunque capisce qualcosa di diritto sa che le condizioni-capestro, in quanto illegali e illecite, sono nulle e nessun giudice potrebbe condannare la Raggi a pagare la penale per un qualsiasi «danno di immagine», definito tale dai quei premi Nobel del diritto che rispondono ai nomi di Grillo, Di Maio, Di Battista e Fico.

Insomma, un fatto che testimonia la natura autocratica del Movimento, una sorta di falange a disposizione delle decisioni e dei capricci di un comico-satrapo e di un giovanotto nominato «guru» per diritto ereditario.

Il consenso belante di media e giornali (che evitano di formulare tutte le domande più urgenti e ficcanti), però, è ancora peggio del fatto politico.

Categoria Italia

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