Separateli! A Napoli sedici presunti camorristi sono stati scarcerati perché il Gip ha approvato la richiesta di custodia cautelare copiando il testo del pm
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Per la sudditanza della magistratura inquirente a quella giudicante vanno in fumo le indagini condotte dalla squadra mobile di Caserta. Altro che terzietà e no alle carriere separate
di Redazione | 27 Ottobre 2015 ore 13:40 Foglio
Il tribunale del riesame di Napoli ha annullato le misure cautelari di custodia in carcere per sedici presunti camorristi perché la sentenza del giudice delle indagini preliminari che approvava la richiesta della procura era puramente e semplicemente copiata dal testo della richiesta dell’accusa. I giudici del riesame hanno constatato che “è stato riportato esattamente il contenuto della richiesta dei pm” e ne hanno tratto la convinzione che il Gup non ha fatto il suo mestiere, che consisterebbe nell’esaminare le richieste e motivarne l’accettazione con considerazioni proprie. Gli indagati tornano in libertà e così, per la sudditanza della magistratura inquirente a quella giudicante vanno in fumo le indagini condotte dalla squadra mobile di Caserta che avevano dato l’avvio al procedimento.
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Questo caso evidenzia quanto sia fondata l’esigenza di separare le carriere della magistratura inquirente da quella giudicante, in modo da assicurare la terzietà del giudice. Non si tratta soltanto di una questione formale: anche se forse in questo caso specifico le condizioni per chiedere la custodia cautelare esistevano, qualunque indagato ha diritto a un esame oggettivo delle richieste della procura da parte del giudice. La corporazione delle toghe, in cui la prevalenza della magistratura inquirente è assolutamente preponderante, anche per ragioni meramente numeriche, ha sempre ostacolato con successo la separazione effettiva delle carriere, la distinzione degli organismi disciplinari del Csm per le due categorie e qualunque iniziativa che permetta di realizzare una effettiva indipendenza della magistratura giudicante, che è un caposaldo di qualsiasi civiltà giuridica garantista. Ancora nel corso del recente congresso dell’Associazione nazionale magistrati si è levata una protesta contro i tentativi, attribuiti genericamente alla “politica” di precisare le procedure che riguardano la custodia cautelare. Sono però fatti come quello che si è verificato ieri a Napoli a esercitare la critica più convincente di queste pretese del sindacato delle toghe.
L’autodifesa corporativa, il rifiuto di riconoscere evidenti storture nell’attività della magistratura, il rimpallo delle responsabilità e infine l’odiosa accusa di far prevalere le garanzie sulla gravità dei reati, trovano smentite evidenti nella realtà di tutti i giorni. Se poi l’effetto di queste scorrettezze nell’applicazione della procedura finisce con l’ostacolare l’azione penale, come in questo caso specifico, vuol dire che la subalternità della magistratura giudicante, la prepotenza di quella inquirente, il disprezzo delle norme di garanzia, alla fine ottengono il risultato opposto a quello proclamato di una più efficiente persecuzione dei crimini. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
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