Caro Pignatone, ma quindi è mafia o no?
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Le parole del procuratore e la mafia a Roma che vale solo come brand
di Redazione | 24 Ottobre 2015 ore 06:18 Foglio
Ma quindi, procuratore, è mafia oppure no? Nella dotta intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera da Giuseppe Pignatone c’è un passaggio significativo che a voler essere maliziosi segnala un’involontaria presa di distanza semantica messa in campo dal procuratore di Roma rispetto alla grande inchiesta portata avanti dalla sua stessa procura di Roma: Mafia Capitale. Pignatone sostiene, en passant, che effettivamente, l’inchiesta delle inchieste, lo scandalo dello scandalo, non è un’inchiesta esplicitamente incentrata sulla mafia ma è l’inchiesta su un metodo para mafioso. “Non sto a ripetere – dice Pignatone – che si tratta di associazioni ovviamente diverse da Cosa nostra e ’ndrangheta, ma che ugualmente ricorrono al metodo mafioso per raggiungere i propri obiettivi”.
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O per bacco, procuratore, ma quindi è mafia oppure no? Lo diciamo non per voler essere ossessivi – la fissazione, si sa, è peggio della malattia – ma perché dalle sue parole si desume che la sua procura ha volutamente giocato con le parole usando in modo deliberato, spregiudicato e generico la parola “mafia”. Mettere “mafia” accanto a “capitale” significa, ci perdoni, creare un collegamento emotivo tra la corruttela da quattro soldi romana e la mafia vera di Cosa nostra e della ’ndrangheta e significa, ci perdoni, trasformare l’inchiesta in un brand offerto a favore di telecamera. Un’operazione che può essere comprensibile per un Sollima o un De Cataldo ma, ci perdoni, un po’ meno per una procura della Repubblica come la sua che in teoria dovrebbe tenere ben distanti le sirene del circo mediatico-giudiziario.
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