Berlusconi assolto: il bunga bunga ci è costato 500 miliardi di euro
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Processo Ruby e Silvio Berlusconi assolto: il bunga bunga ci è costato 500 miliardi di euro. Gli italiani saranno anche stati scandalizzati da quel che emergeva dalle inchieste giudiziarie dell’epoca sulla vita privata di Silvio Berlusconi,
ma è un fatto che l’Italia del bunga-bunga fosse una sorta di Eldorado rispetto a quella oggi capitanata da Matteo Renzi. Allora si rise, e si accusò il governo di centrodestra di sottovalutare la crisi economica con ingiustificate iniezioni di ottimismo. Ma i dati macroeconomici degli ultimi giorni di Berlusconi erano tutti enormemente migliori degli attuali. Oggi siamo tutti più poveri di allora, centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro. Milioni di italiani hanno perso sensibilmente il reddito netto portato a fine anno in famiglia: stavano meglio con il Berlusconi dei festini notturni che col Renzi che regala 80 euro al mese. Erano più ricchi allora di oggi. Non solo: erano più virtuosi di oggi anche rispetto a quanto avveniva in media nei Paesi dell’area dell’euro.
L’Italia del bunga-bunga era un modello economico in Europa, ed oggi ha perso numerose posizioni rispetto al 2011. Il debito pubblico lasciato da Berlusconi al suo successore Mario Monti era di 1883,7 miliardi di euro, e rappresentava il 119,6% del Pil. Il dato ufficiale dell’Italia di Renzi alla stessa epoca del 2014 era un debito pubblico assoluto di 2.134 miliardi di euro - 250,2 miliardi più di allora - che valevano il 131,8% del Pil. Oggi il rapporto debito/Pil dell’Italia è 39,7 punti percentuali superiore a quello della media della area euro. Alla fine del governo Berlusconi era 32,2 punti. La distanza dall’Europa è aumentata di 7,5 punti percentuali. L’ultimo trimestre di Berlusconi il Pil italiano era cresciuto dello 0,8%, nello stesso trimestre (il terzo 2014) con il governo Renzi è sceso dello 0,5%. L’Italia faceva peggio dell’area dell’euro di 0,9 punti percentuali. Oggi fa peggio di 1,4 punti percentuali. La produzione industriale oggi è lontana di 2 punti dalla media dell’area dell’euro. Allora era peggiore solo di 0,8 punti di quella media. La disoccupazione dell’Italia a fine ottobre 2011 era all’8,5%, ed era migliore di 1,8 punti della media dei Paesi dell’euro, che era 10,3%. La disoccupazione a gennaio 2015 è del 12,6%, ed è peggiore della media dell’area dell’euro, che è 11,2%. Il dato italiano è peggiorato quasi del 50% fra il bunga-bunga e Renzi, e da Paese virtuoso per mantenimento di posti di lavoro siamo diventati uno dei peggiori paesi d’Europa per la perdita di posti.
I numeri saranno un po’ noiosi, ma necessari a capire cosa sia accaduto che ha fatto precipitare l’Italia così in basso. E buona parte di quella responsabilità - magari unita alla scarsa capacità di governo di chi si è alternato in questi anni a palazzo Chigi e dintorni - è dovuta proprio agli effetti macroeconomici di quella inchiesta sul bunga-bunga che ha distrutto l’immagine internazionale dell’Italia, terremotato i mercati e le finanze pubbliche su basi giuridiche del tutto inesistenti come ha appurato definitivamente la Corte di Cassazione italiana. Un danno pazzesco, che ha toccato le tasche degli italiani in modo preponderante, ma che ha provocato guai anche nei bilanci degli altri paesi europei. Un terremoto che ha bruciato quasi 500 miliardi di euro, un terzo della ricchezza del paese. E’ il costo indotto della inchiesta sul bunga-bunga, la tassa Ilda Boccassini che gli italiani e perfino gli europei volenti o nolenti hanno dovuto pagare.
Il lungo excursus sui dati macroeconomici dell’Italia è utile per capire come la bufera finanziaria che ha travolto il Paese nell’estate del 2011 non fosse dovuta alla situazione economica dell’Italia: tutto andava assai meglio di oggi, e il paese era più in linea di oggi alla media dell’area dell’euro. Fu proprio il bunga-bunga a fare ritenere Berlusconi "unfit" (inadatto) a governare sia nelle cancellerie della diplomazia internazionale che nelle principali sale operative delle finanze. Le Olgettine avevano indebolito il premier italiano in ogni modo, e l’attacco al Paese serviva per provare questa debolezza (e qualcuno sperava che con quella leva fosse possibile fare saltare l’euro) e cambiare cavallo. La perdita di capitalizzazione della borsa italiana in quel periodo fu superiore ai 100 miliardi di euro, anche se le quotazioni poi si riebbero nelle ultime settimane dell’anno. Per fare fronte all’attacco speculativo nato sul bunga-bunga dovette scendere in campo la Bce, che fra l’agosto del 2011 e il febbraio 2012 dovette incrementare il proprio portafoglio di titoli di Stato a difesa dell’euro di 148,9 miliardi di euro, acquistando in gran parte titoli italiani (il resto erano greci, irlandesi, portoghesi e spagnoli).
Di fronte all’attacco fra luglio e dicembre 2011 prima il governo Berlusconi e poi quello di Mario Monti imposto internazionalmente e messo in sella con forza dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, hanno dovuto varare ben 4 manovre finanziarie. Complessivamente sono ammontate a 205,9 miliardi di euro: 49,1 miliardi nel 2011, altri 75,6 nel 2012 e 81,2 nel 2013. A questo naturalmente si aggiunge il costo dello spread schizzato su di 400 punti base con le ovvie conseguenze sul debito pubblico italiano. Monti sostenne che ogni 100 punti a regime di avrebbe avuto un effetto di 20 miliardi di euro sulla gestione del debito. Quei 400 punti schizzati all’improvviso valevano dunque 80 miliardi di euro. Con il cambio di cavallo politico durante il 2012, e poi più sensibilmente nel 2013 e nel 2014, lo spread è sceso, e quindi quel calcolo teorico a regime dovrebbe essere virtuale. Alcuni economisti hanno calcolato in circa 30 miliardi l’effetto netto sulle aste di titoli ormai fatte (che non risentono quindi dello spread in discesa), a questa cifra dovrebbe essere sommato anche il surplus dello spread in discesa, ma comunque assai superiore a quello di giugno 2011. Si dovrebbe arrivare a una cifra vicina a 50 miliardi di euro reali. E così siamo assai vicini a 500 miliardi di bunga bunga.
di Franco Bechis, lIbero 17.4.2015