Expo, il fallimento della procura di Milano
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Il pg toglie il fascicolo ai magistrati milanesi. Una sconfitta per Bruti Liberati. Ma anche per il suo successore Greco. E la guerra tra pm non è ancora finita.
di Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi | 11 Novembre 2016 Lettera43
Che il procuratore generale Roberto Alfonso, insediatosi nel luglio 2015 a Milano, non fosse un agnellino lo si capì subito dalle prime dichiarazioni che rilasciò abbandonando la procura di Bologna.
«Qui c’è stata omertà sulle inchieste che hanno riguardato la politica», disse arrivando in una procura che ha fatto per quasi 20 anni della lotta ai politici il suo fiore all’occhiello (Tangentopoli, Silvio Berlusconi, e via dicendo).
IL FASCICOLO PASSA DI MANO. Eppure in pochi avrebbero pensato che sarebbe stato proprio lui a sancire per sempre il fallimento di quei magistrati che hanno cancellato la Prima Repubblica ma che, a quanto pare, su Expo 2015 non hanno voluto indagare abbastanza.
È una bomba per il Palazzaccio la notizia che il fascicolo sull’appalto per la Piastra dell’esposizione universale - il più costoso, pari quasi a 500 miliardi di vecchie lire, come la vecchia tangente Enimont - è stato tolto ai pm della procura milanese, guidata oggi da Francesco Greco e prima da Edmondo Bruti Liberati.
BRUTI LIBERATI E GRECO NEL MIRINO. È un bomba perché in fondo sconfessa tre anni di gestione proprio di Bruti Liberati, l’ex leader di Magistratura Democratica, portando a galla una nuova verità, ovvero che la moratoria delle indagini su Expo c’è stata.
E che sotto quel cappello di omertà si è consumata una campagna elettorale con candidato sindaco del centrosinistra l'ex amministratore delegato proprio di Expo 2015, quel Giuseppe Sala che adesso potrebbe ritrovarsi nei prossimi giorni a spiegare la sua posizione di fronte ai magistrati della procura generale, che hanno ricevuto un altro mese di indagini per fare approfondimenti sulla vicenda.
OMERTÀ PURE AL CSM. Del resto neppure il Csm ha provato a capire, dopo che il consigliere laico Pierantonio Zanettin aveva presentato per due volte la richiesta di un'apertura della pratica in prima commissione, perché aveva sollevato il dubbio della violazione delle «regole organizzative dell'ufficio inquirente in contrasto all’articolo 112 della Carta che prevede l'obbligatorietà dell'azione penale».
In particolare dopo che il premier Matteo Renzi aveva ringraziato i magistrati milanesi «per la sensibilità istituzionale» della procura in occasione di Expo.
«I miei sospetti sulle carenze delle indagini Expo2015 andavano approfonditi in prima commissione», spiega Zanettin (in settima commissione) a Lettera43.it. «Oggi trova giustificazione l'apertura di una pratica che il comitato di presidenza mi ha rifiutato per ben due volte».
Lo scontro Bruti-Robledo sull’Area Omogenea Expo
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Grazie alla procura generale, vengono lette sotto un’altra luce le polemiche tra lo stesso Bruti e Alfredo Robledo, un magistrato finito nel tritacarne del Csm, che si scontrò con lui proprio sulla creazione dell’Area Omogenea Expo: all’epoca Robledo fu fatto fuori dagli interrogatori e tra i pochi a difenderlo ci fu l’ex procuratore generale, il compianto Manlio Minale.
«Se l’Area Omogenea può essere ritenuta funzionale alla conoscenza delle indagini», scrisse Minale, «non può però essere ritenuta funzionale al coordinamento delle indagini, proprio per l’indeterminatezza dei suoi confini e la non omogeneità della materia. Non solo: è inaccettabile anche perché annulla ingiustificatamente il sistema dei criteri oggettivi e automatici d’assegnazione delle inchieste, con un evidente vulnus alla trasparenza».
SETTE INDAGINI AVOCATE A GRECO.Magistrati contro, insomma. Di nuovo. Ancora una volta l’attuale procuratore capo di Milano Francesco Greco deve fare i conti con la procura generale, guidata da Alfonso. Nel lontano 2013, quando il pg a Palazzo di giustizia era Carmen Manfredda, ora presidente del Comitato anti-mafia del Comune di Milano, sette fascicoli furono tolti al pool Reati economici guidato dallo stesso Greco, allora pubblico ministero nella procura guidata da Bruti Liberati.
Prima di allora mai nessuna indagine era stata tolta ai pm. Già allora si combatteva la guerra a bassa intensità al quarto piano del Palazzo di giustizia: ancora prima dello scontro Bruti-Robledo tenevano banco le frizioni tra lo stesso Robledo e Greco. Differenze sulla visione delle inchieste già emerse nel 2012 nel pieno delle indagini su Roberto Formigoni e Regione Lombardia.
UN MESE DI TEMPO AL PG ISNARDI. Il giudice per le indagini preliminari Andrea Ghinetti si era fatto qualche scrupolo ad archiviare le indagini sulla Piastra di Expo come richiesto dai pm della procura di Milano Filippini, Pellicano e Polizzi.
Aveva così deciso di fissare un’udienza con le parti prima di decidere se archiviare o meno il fascicolo.
A meno di 24 ore da quella stessa udienza, fissata per l’11 novembre, è arrivata l’avocazione del fascicolo ai pm per mano della procura generale.
E il gip non ha potuto fare altro che concedere un mese di tempo al nuovo titolare dell'indagine, il pg Luigi Isnardi, in vista di ulteriori «approfondimenti investigativi».
In sostanza, per la procura generale non tutti i punti sono stati approfonditi.
Un appalto da 272 milioni e contorni poco chiari
La «riesumazione» dell’inchiesta apre nuovi scenari nella storia giudiziaria dell’esposizione universale e il suo appalto principale.
Duecentosettantadue milioni e 100 mila euro la base d’asta, con una associazione temporanea di imprese con capofila Mantovani che si aggiudica la gara con un ribasso del 41,8%, «non idoneo nemmeno a coprire i costi».
La società ha messo sul piatto poco più di 165 milioni, chiedendo poi in corso d’opera «atti aggiuntivi per un importo di circa 40 milioni, indicativo delle difficoltà di programmazione e progettazione».
LE INTERCETTAZIONI DEI MANAGER.Proprio sulla congruità del ribasso il pg muove le principali rimostranze ai pubblici ministeri.
Antonio Rognoni, ex manager di Infrastrutture Lombarde, arrestato in un’altra inchiesta, ha raccontato agli inquirenti che «Sala mi rispose che non avevamo tempo per verificare se l’offerta fosse anomala o meno». A corroborare le parole di Rognoni ci sono le intercettazioni contenute nell’informativa della Finanza nell’ambito dell’inchiesta su Infrastrutture Lombarde: l’offerta, analizzata al telefono con l’allora ad di Expo Sala dai manager Carlo Chiesa (non indagato) e Antonio Acerbo, «non è anomala dal punto di vista della legge», ma i ribassi accesero qualche dubbio.
Tuttavia, risponde Chiesa, «se dovessimo escludere il primo (Mantovani, ndr) ci massacra e ci fa un ricorso immediatamente», dilatando così i tempi.
LA DUBBIA GESTIONE DI BRUTI LIBERATI. Lo scontro aveva riguardato inoltre le indagini sulla vicenda della vendita di una quota della Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi, da parte di Palazzo Marino.
Operazione con cui il fondo F2i di Vito Gamberale si aggiudicò il 29,75% delle azioni della municipalizzata per 385 milioni di euro (successivamente Gamberale finirà indagato per turbativa d’asta, poi assolto: l’accusa sostenne che la gara vinta da Gamberale fosse pilotata, ndr).
Altre indagini che furono motivo di attrito tra i due riguardavano Marco Tronchetti Provera e Telecom Italia, oltre a quelle sul presidente del Consiglio regionale Davide Boni, passando poi per il crac del San Raffaele di don Verzè.
Twitter @ARoldering e @lucarinaldi